di Mattia Bizzozero *
Un film matrioska. Si potrebbe definire così la pellicola di Steven Soderbergh, presentata il 2 settembre in concorso alla mostra del cinema di Venezia 2019.
Panama papers (The Laundromat) è una black comedy che parla di frode fiscale. L’anziana Ellen Martin (Meryl Streep), dopo aver assistito alla morte del marito durante una gita in barca, e decisa a ottenere un risarcimento per l’accaduto, inizia a indagare sulla corruzione che si cela dietro alle compagnie assicurative e che si ripercuote sul sistema finanziario mondiale.
Due personaggi in smoking (interpretati da Gary Oldman e Antonio Banderas) ci narrano per sommi capi la storia dei “Panama Papers”, uno dei più grandi scandali finanziari che sia mai esistito. I due attori però interpretano, oltre al ruolo di narratori onniscienti, anche i due avvocati responsabili della fondazione e della gestione di società fittizie in giro per il mondo.
Decisi a lucrare sulla disattenzione e sulla ingenuità delle persone che a loro si affidano senza conoscere il rischio che corrono, i due avvocati hanno saputo tessere una rete di circa 25.000 società inesistenti.
Ellen cade vittima di questo sistema e il regista, mentre ci espone il suo caso, affida ai due narratori il compito di arricchire la nostra conoscenza in merito all’evoluzione dello scandalo finanziario, intrecciando, con quella principale di Elen, altre tristi storie di truffe, presentate in modo tragico e spassosissimo allo stesso tempo.
I due veri protagonisti della vicenda, i legali, tengono a precisare che quello che raccontano è il loro punto di vista. La costruzione dei due personaggi fa sì che questi risultino bugiardi, come avvocati, ma unici detentori della verità, come narratori, in quanto è a loro che lo spettatore affida la sua attenzione per tutta la durata della proiezione.
La macchina da presa entra ed esce continuamente dalle diverse matrioske di questo film, ognuna simbolo di una storia, e ricostruire il puzzle è compito dello spettatore.
Si può dire che la complessa costruzione del film rispecchi la confusione che vivono i personaggi al suo interno, ma è vero allo stesso tempo che l’interpretazione magistrale degli attori favorisca la facilità con cui lo spettatore segue l’evoluzione del racconto.
A Venezia la proiezione di questa pellicola è stata accolta bene, sia dal pubblico sia dalla critica, e il fatto che il regista sia stato capace di divertire la sua audience trattando un tema delicato e complesso è indice di grande maestria.
Se è vero che la mostra del cinema, come si è verificato per gli scorsi anni, è un trampolino di lancio verso gli Oscar, “The Laundromat” prenderà una bella rincorsa e vi atterrerà in punta di piedi.
* studente al secondo anno di Linguaggi dei media, facoltà di Lettere e filosofia, campus di Milano