di Roberto Zoboli *
È un’epoca di transizione. Anzi di transizioni. La transizione di sostenibilità, a partire dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, si è incuneata nelle strategie dei governi di ogni livello. L’Europa persegue lo European Green Deal anche come veicolo per le strategie di ripresa economica post-COVID. La Commissione von der Leyen ha già messo in campo, nei primi mesi del 2020, in piena crisi pandemica, una proposta per la European Climate Law, la nuova Industrial Strategy, che persegue l’Europa digitale e l’economia circolare, quest’ultima oggetto di un nuovo Action Plan, e poi il Just Transition Fund per alleviare i possibili contraccolpi di una crescita green per alcune regioni, e ancora le strategie per la biodiversità, per l’agricoltura sostenibile (Farm to Fork), e infine il ‘Sustainable Europe Investment Plan’. Una completa articolazione, quindi, di politiche per la transizione di sostenibilità. Tutto bene, quindi? Forse.
La sostenibilità riguarda una società che desideriamo, ma la transizione ad essa non è garantita perché sono in atto altre grandi transizioni che non sono né controllate né orientate dalle strategie di sostenibilità. Si tratta in particolare della transizione verso una società più anziana, che porta ad una profonda trasformazione sociale, ben esemplificata dall’Italia, e della transizione tecnologica, che può essere così trasformativa da cambiare il nostro rapporto con la realtà e, più in profondità, con l’umano stesso. La transizione è quindi multipla e non necessariamente convergente verso la società sostenibile che vogliamo. Il nuovo assetto emergente dalla crisi COVID-19 può aggiungere inedite complessità e trade-off.
Il rapporto ‘The sustainability transition in Europe in an age of demographic and technological change. An exploration of implications for fiscal and financial strategies’, realizzato per la European Environment Agency (EEA) da un team tutto italiano che fa capo a Seeds, il centro inter-universitario sulla sostenibilità – da me coordinato con Stefan Speck – (EEA), ha esplorato questa transizione multipla evidenziando che esistono, anche in epoca pre-COVID, almeno tre nodi critici.
Il primo nodo è che l’invecchiamento della popolazione ha effetti ambigui sulla transizione di sostenibilità. Una società più anziana ha una struttura di consumi con effetti positivi per l’ambiente e il clima. Le proiezioni presentate nel rapporto indicano che, di per sé, questo effetto ‘ageing’ vale il 4% di emissioni di CO2 in meno in tutti gli scenari di popolazione formulati dalla Commissione Europea per il 2050. Dall’altro lato, l’invecchiamento della popolazione ha effetti macroeconomici indiretti per le strategie di sostenibilità. Primo fra tutti quello sui mercati del lavoro, con un potenziale deficit di lavoratori che può generare un possibile vuoto fiscale e previdenziale, e quello sul welfare, che aumenta la spesa sanitaria e assistenziale nello scenario dei prossimi anni. Questi effetti fanno mancare risorse ai bilanci pubblici, e quindi agli ingenti investimenti necessari per la transizione di sostenibilità, investimenti che sono al centro dello European Green Deal.
Il secondo nodo riguarda l’attuale rivoluzione tecnologica e i suoi effetti ambigui, non solo sul lavoro e le trasformazioni sociali, ma anche sull’ambiente. Mentre una parte delle risposte al cambiamento climatico e alla conservazione delle risorse naturali passa attraverso le tecnologie, la rivoluzione digitale non è governata da preoccupazioni di sostenibilità, richiede grandi quantità di energia, e le stesse tecnologie ‘verdi’ hanno effetti complessi sull’ambiente nel loro ciclo di vita. Inoltre, le tecnologie digitali hanno profili fiscali problematici e in parte inediti e quindi non favorevoli alla sostenibilità dei bilanci pubblici, concorrendo così al depotenziamento delle risorse per gli investimenti di sostenibilità.
Alla convergenza tra i due precedenti, il terzo nodo è quello della transizione dei bilanci pubblici e di una possibile ‘competizione di bilancio’ non favorevole alle politiche di sostenibilità. Attualmente la spesa pubblica per l’ambiente è una parte minore del totale in tutti i paesi europei, e così è anche per le entrate dalla tassazione energetica ed ambientale, nonostante le ripetute proposte per riforme fiscali ecologiche. La gran parte delle risorse pubbliche è, correttamente, dedicata alla spesa sociale, sanitaria e previdenziale, e tale orientamento allocativo aumenterà con l’invecchiamento di popolazione. La crisi COVID-19 porterà nella stessa direzione, anche nel caso i piani ripresa abbiano una connotazione Green Deal. Il rapporto indica due direzioni per evitare una ‘competizione di bilancio’ che frustra le ambizioni di transizione sostenibile: un forte coinvolgimento di risorse finanziarie private, guidate dai processi di Sustainable Finance che stanno affermandosi in Europea; una revisione complessiva dei sistemi fiscali che consenta di contrastare gli effetti dell’invecchiamento di popolazione e delle tecnologie digitali, aprendo uno spazio di risorse per gli investimenti in sostenibilità.
La principale indicazione del rapporto è che vedere la sostenibilità come una questione settoriale e ambientale, o peggio tecnologica, è fuorviante. Non solo il suo significato è profondamente trasformativo si economie, società e valori, ma inoltre essa prende vita o meno nell’ambito di grandi trasformazioni che sono poco controllabili e prevedibili, in un gioco di effetti che rimane ad alta incertezza e va affrontato con ampie visioni sulle relazioni. È un’epoca di transizioni. Anzi, è un cambiamento d’epoca.
* Docente di Politica economica, facoltà di Scienze Politiche e sociali, e delegato del Rettore per il coordinamento e la promozione della ricerca scientifica e della sostenibilità