di Sara Giuliani *

Un mese intero per assaporare il senso di comunità, di accettazione, di condivisione che stanno alla base della meravigliosa cultura ugandese. Siamo state accolte a braccia aperte sia all’Emmaus Foundation, dove si trovava il nostro alloggio, sia a scuola da insegnanti e studenti.

Il loro concetto di famiglia estesa ha la capacità di farti sentire amata e a casa.

Una casa ampia, come l’Emmaus Foundation, dove abbiamo conosciuto persone stupende come Father Isidoro, Joyce, Samuel, “mamma” Angela e tutte le ragazze che vivono alla fondazione. Ho riscoperto il senso di condivisione degli spazi e dei momenti insieme, ho visto la loro profonda fede religiosa e la loro capacità di sostenersi a vicenda. Non dimenticherò mai la risata di Father Isidoro e il momento in cui si spalma la torta di compleanno sul viso, solo per far divertire tutti.

L’Emmaus Foundation aiuta le famiglie più povere e bisognose, che non hanno le risorse economiche per curare i propri figli a livello sanitario, non hanno la possibilità di mandarli a scuola. Nonostante vivano in condizioni disumane, sono rimasta colpita dalla loro capacità di accogliere, di farci spazio nella loro stanza e di farci sentire “benvenute”.

L’altra grande casa è la BCK Primary School, che accoglie più di 1.100 ragazzi, con classi costituite da 70, 80, 90, 100 studenti. Gli insegnanti lavorano almeno dodici ore al giorno, con turni anche nel fine settimana e si donano completamente alla crescita e all’educazione di questi ragazzi.

Il metodo educativo è molto diverso dal nostro: risulta necessario, anche se non giustificato, un apprendimento basato sulla ripetizione e composto da una successione di riti e canzoni, per mantenere viva l’attenzione dei ragazzi o semplicemente per dar loro la possibilità di sgranchirsi le gambe. Elevato anche il controllo sull’ordine e sulle azioni da compiere nella “right way”, evitando l’errore. Nonostante ciò, gli insegnanti con le risorse materiali che hanno a disposizione, riescono a mantenere sempre le classi attente anche se composte da tanti alunni con diversa età e diversi livelli di preparazione.

Ciò che mi rimarrà più impresso sono i sorrisi dei bambini, il loro chiamarmi “Teacher Sara” instancabilmente, anche solo per salutarmi o per cogliere la mia attenzione. A volte mi hanno fatto sentire quasi una persona famosa: file di ragazzini davanti con un pezzo di carta per chiedere l’autografo. Non ti chiedono mai quale sia la tua meta, ma ti prendono per mano e ti seguono sorridendo. Sono gli stessi bambini, che durante un esercizio in classe, in merito alle principali attività svolte nella propria comunità, rispondono “beating people” e “killing people”.

Non dimenticherò mai i pomeriggi passati al “field”, un campo di terra rossa, dove ho potuto mettermi alla prova e superare i miei limiti personali, ballando al centro di un “big circle” la macarena, la chicken dance e tante altre canzoni. Abbiamo cantato, fatto braccialetti con fili di cotone, creato collane, giocato a handball, con dei “balloons” o con semplici cannucce colorate per terra.

Ho ritrovato il piacere e il valore delle piccole cose, dei giochi più semplici e dei gesti di affetto, come un “big hug” o come ricevere in regalo una caramella che ti lasciano nello zaino, con un biglietto ancora più dolce o come quando ti chiedono se la merenda, che hai condiviso con loro, possono non mangiarla per portare quel pezzo di cracker alla mamma per il suo compleanno. Ho imparato che basta davvero poco per essere felici, e lo si è ancora di più, se quel poco viene donato all’altro. E qui ti donano sempre tutto ciò che possono!

Sono colma di gratitudine per aver potuto vivere questa esperienza umana e professionale, che mi ha trasmesso gioia e amore. Un amore incondizionato per la vita, per gli altri e un desiderio costante di conoscere, di scoprire e di provare.

È un popolo che sa amare e quando amare significa vivere, allora puoi solo sentirti fortunata di aver fatto parte di questa grande famiglia, anche se per poco tempo. Credo che un proverbio africano possa riassumere quello che provo: “Se vuoi andare veloce, corri da solo; se vuoi andare lontano, corri insieme”.

Grazie UCSC Charity Work Program: ho corso insieme a più di 1.100 bambini per un mese, vivendo a gonfie vele questa magnifica esperienza, che mi ha cresciuta e mi cambiato nel profondo del cuore. Non la dimenticherò mai.

* 24 anni, laureata triennale in Scienze dell’educazione e della formazione, studentessa al secondo anno della magistrale in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità, facoltà di Scienze dell’Educazione, sede di Milano