«A partire dall’ultimo trimestre del 2015, l’esposizione di crediti deteriorati (non-performing loans, NPL) delle banche italiane è diminuita (registrando un -60%, attestandosi a €135miliardi a fine 2019). Ma per effetto della pandemia Covid-19, come autorevolmente sottolineato da più di un’Autorità, il deterioramento del credito sarà una delle conseguenze più gravi di questa recessione.» Lo ha detto Elena Beccalli, preside della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica in qualità di presidente dell’Associazione europea di diritto bancario e finanziario-sezione italiana (Aedbf) intervenendo all’incontro dedicato al tema “Cartolarizzazione e gestione dei crediti deteriorati” che si è tenuto martedì 23 giugno, cui hanno preso parte anche Gianluca Sisinni, consigliere del Servizio regolamentazione della Banca d’Italia, e Dino Crivellari, avvocato, membro del Consiglio direttivo Aedbf).

«Peggioramento nei volumi di crediti deteriorati che si prevede non si materializzerà in via immediata ma piuttosto nel 2021 una volta che i programmi straordinari di supporto termineranno», ha aggiunto Elena Beccalli. Nello specifico, ha osservato il presidente, «le proiezioni di operatori di settore stimano nuovi inflow di NPL per le banche italiane pari a €30miliardi nel 2021». Secondo Beccalli è delicato «il tema delle recenti misure di sostegno economico poste in essere dal Governo italiano a favore di privati e imprese per il tramite di garanzie statali per l’accesso al credito. Se da un lato sarebbe un errore gravissimo lasciar fallire imprese sane e quindi fondamentale evitare strozzature del credito, dall’altro è ancora più importante che le banche rimangano prudenti e consapevoli poiché eventuali erogazioni a soggetti non meritevoli rischierebbero non solo di avere conseguenze in termini di crediti deteriorati ma implicazioni di aggravio del già problematico debito pubblico italiano».

Una nota particolare meritano le inadempienze probabili (unlikely to pay - Utp), vale a dire crediti erogati a debitori le cui difficoltà di rimborso possono essere superate attraverso la ristrutturazione della posizione debitoria o la concessione di nuova finanza. «Dopo una prima fase in cui gli operatori specializzati si sono concentrati sulle sole sofferenze, l'attenzione si sta progressivamente spostando verso le posizioni classificate come UTP», ha detto Beccalli. «Per queste posizioni la strategia di gestione interna da parte della banca è senza dubbio auspicabile: la cessione degli Utp potrebbe determinare la perdita per il sistema bancario di clienti che potrebbero invece risultare ancora attivi e rappresenta una parziale rinuncia da parte della banca all’esercizio di una funzione primaria trasferendola in capo a soggetti non bancari e come tali svincolati dalle norme bancarie», ha osservato ancora la professoressa Beccali che, nel caso si rendesse necessario realizzare il deconsolidamento, ha segnalato «una recente strategia di gestione attuata da gestori (nello specifico società di gestione del risparmio) di fondi di private equity italiani in cui le banche conferiscono Utp a un fondo e contestualmente sottoscrivono quote del fondo stesso, attuando in tal modo un deconsolidamento del credito ma mantenendo una partecipazione ai profitti del fondo. Considerato infatti che dietro gli Utp vi sono aziende spesso in risanamento, il fondo si riserva la possibilità di fare credito alle aziende cui si riferiscono gli Utp in modo che le stesse possano essere rifinanziate e uscire dallo stato di tensione. Tale meccanismo genera un evidente alleggerimento per la banca in termini di assorbimento patrimoniale nonché un miglioramento degli indicatori di qualità del credito, ma contestualmente determina un trasferimento dell’attività bancaria a un soggetto che non è una banca».

Infine, altro aspetto che merita particolare attenzione è il recente peggioramento nella performance delle cartolarizzazioni di NPL italiani registrata dal primo trimestre 2020 a causa della pandemia. Le proiezioni di operatori di settore indicano che, sebbene la profittabilità delle operazioni di cartolarizzazioni in essere permanga positiva, il 57% delle operazioni presenta underperformance destinata a aggravarsi per effetto della pandemia. In particolare, con riguardo ad un campione di 21 operazioni (su un totale di 25 operazioni italiane), la proiezione è che 14 delle 21 operazioni registrano una underperformance sia in termini di tempi di rientro che di volumi, che porterà ad un risultato inferiore alle attese contenute nei business plan originari nell’ordine del 25% nel 2020, a fronte di un -13% registrato ad oggi nel secondo semestre dell’anno.  

«A mio avviso appare particolarmente critico se si pensa al tipo di operatori coinvolti in questo mercato delle cartolarizzazioni», ha rimarcato la preside Beccalli. «Come abbiamo avuto modo di sottolineare con il professor Francesco Cesarini in recenti saggi sul tema, si tratta di intermediari specializzati (veicoli, buyer, servicer), di cui alcuni sono banche orientate anche a questo mercato, ma molti altri sono intermediari finanziari non bancari. Ciò significa che la gestione di crediti deteriorati in Italia avviene oggi in larga misura fuori dall’ordinamento bancario, in una sorta di shadow banking degli Npl. La circostanza che il problema degli NPL negli anni si sia spostato su altri operatori più opachi e non regolamentati dalla disciplina bancaria, rischia di rendere gli effetti della pandemia ancora più critici, soprattutto in termini di ripercussioni sul sistema economici reale. Pertanto gli squilibri nella gestione di questi intermediari finanziari non possono lasciare indifferenti né il sistema bancario, né le Autorità di vigilanza».