Con questo articolo proseguiamo il dibattito - aperto il 18 giugno dall’intervento su Cattolici e politica del professor Agostino Giovagnoli - a cento anni dall’appello di don Luigi Sturzo “agli uomini liberi e forti”. Un manifesto che, anche un secolo dopo, non ha perso smalto e freschezza. 

di Aldo Carera *

In epoca di grandi cambiamenti l’«Appello ai liberi e forti» ripropone l’affermata e mai realizzata centralità della persona nel mondo del lavoro. A suo tempo, dalla concreta realtà del lavoro deduceva bisogni di tutela e di giustizia sociale e li affidava alle «organizzazioni di classe», cioè alle rappresentanze sindacali.

In una società, allora come ora, esposta a tendenze disgregatrici, le organizzazioni dei lavoratori venivano elevate a indispensabile espressione di libertà e di forza. Espressioni di libertà in quanto presupponevano la libera scelta delle persone che, associandosi, riportano il tornaconto individuale a comuni interessi collettivi, spezzando le logiche corporative fondate su «preferenze e interessi di parte». Espressioni di forza in quanto sapevano tradurre in mediazione sociale un’autorevolezza fondata sul consenso e non sulla mera gestione del potere. 

Nell’«Appello» la rappresentanza popolare del lavoro, liberamente esercitata tramite gli attori sociali, è alimento dei processi di integrazione economica e sociale, educa alla responsabilità e alla costruzione del bene comune in un tempo di profondi conflitti economici e sociali che lasciavano temere il progressivo smarrimento dei valori democratici cristianamente orientati. 

Affidarlo al suo tempo è possibile e facile. Incollarvi le figurine di Luigi Sturzo, Achille Grandi (e Bertini, Cavazzoni, Grosoli, Longinotti ...: ma chi erano?) significa allinearsi alla quotidianità che si affida agli istinti affascinanti e volubili della memoria, attivati da una ricorrenza rinchiusa nelle celebrazioni di una stagione. Ma i fatti della storia sono altro, sono accadimenti segnati con la durezza delle cose accadute. Il loro essere stati vale anche quando, in altre età, sembrano cancellati i timori di quel 1919 lontano un secolo. Allorquando gente “libera e forte” (per autocertificazione o per capacità di prendere in mano il proprio destino?) ha fondato il Partito popolare e, un anno prima, la Confederazione italiana lavoratori, prime forme di presenza politica e sindacale dei cattolici su scala nazionale, cui sarebbe seguita due anni dopo la fondazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. 

Di lì a poco quella gente dai grandi disegni dovette confrontarsi, secondo percorsi inevitabilmente divergenti, con accadimenti che un giovanissimo Giulio Pastore ha descritto nel 1925 con impressionante e profetica lucidità: «Ciò che ieri appariva quasi un incubo, oggi si vede come una liberazione»... 

L’articolo completo del professor Aldo Carera è stato pubblicato su Il Foglio.it

* docente di Storia economica e direttore dell'Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia “Mario Romani”


Quinto articolo di una serie dedicata ai cento anni dall’Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo. Domani l’intervento del professor Antonio Campati