di Sara Caspani *

Da oggi sono in Erasmus. La mia destinazione? Valencia, España. Addio alla terra del già conosciuto, del familiare, e bienvenida alle strade dai lampioni gialli ora ignote, ma che diverranno casa anch’esse; voci di gente che ho incontrato mi affollano la mente: “Perché sei partita? Perché vuoi partire? Poi ripartirai?”

Ho quasi paura, la sensazione iniziale è quella di stare in due luoghi contemporaneamente, sarò pronta? No, quando si sente il bisogno di mettersi in viaggio non si è mai pronti a camminare. So che non sarà facile, la mattina mi sveglierò e saprò di dovermi guadagnare ogni angolo di questa città: i cartelli, i portoni, le maniere mediterranee di un popolo fratello. 

Eppure la musicalità di una domanda fatta in valenciano, le strade movimentate attorno alle Torri… che ricchezza questi pezzi di vita, raccolti da un uomo in giacca e cravatta che parla al telefono nella metro, a fianco di una vecchia signora che, pure chiedendo l’elemosina, mi lascia in custodia qualcosa.

“Smettila di pensare in italiano o non imparerai mai, smettila di crederti una turista.. sveglia la tua anima spagnola!” 

La mente di un viaggiatore è come quella di un bambino che impara da capo a creare pensieri. Sfatiamo un mito: non importa quanto tempo o precauzioni abbiate speso a prepararvi alla partenza: la vita non segue mai i piani - lo stiamo imparando nel bene e nel male - non ne siamo padroni. Una volta arrivati su un suolo estero ricomincerete da zero, come quando da gattoni i bambini si azzardano a mettersi su due piedi. E, da lì, come appare grande il mondo di sempre! Per questo vi consiglio di portare con voi solo l’essenziale, presto vi accorgerete che il resto non serve.

Oggi c’è un sole che brucia, sono in università coi miei nuovi compagni, mi hanno accolta come qualcosa di prezioso, di raro che viene da lontano e mi riempiono di domande. Quanta bellezza a dover spiegare anche la più scontata delle mie abitudini italiane, improvvisamente ritenuta di valore perché vissuta a distanza di chilometri. E allora il racconto passa attraverso i gesti, gli abbracci, le espressioni del viso che forse prima non guardavo tanto. 

Sembra assurdo: le strutture del pensiero che da sempre avevano una chiara disposizione, ora vengono demolite e all’improvviso non traduci più, non cerchi più di tornare alla tua parola di “origine”, ti affidi e lasci avvolgere dal mondo in cui sei immerso. All’improvviso, vivendo tra le pareti con altri coinquilini stranieri, scopri di avere anche un’anima tedesca, una francese, una latinoamericana che aspettavano solo di essere trovate. 

L’Europa per noi “Generazione Erasmus” non ha più un significato astratto, il bene comune è tanto visibile, tanto palpabile quanto condividere la cena con degli amici messicani, austriaci, inglesi.

Se stai per partire non dubitare, i compagni che incontrerai saranno come te, avranno avuto la stessa folle idea di lasciare la patria verso qualcosa che non sapevano nemmeno loro cos’era, quasi per svelare un mistero. Studierai in un’altra lingua: quante notti passerai a guardare il cielo, ritrovandoti a parlare con chi fino a due giorni prima non era che un estraneo.

Partire è una scia contagiosa, perché una volta che hai sperimentato il senso della condivisione con alcuni dei possibili compagni di viaggio, vuoi andare oltre, vuoi imparare di più, non ti basta parlare una lingua, non basta una strada, una prospettiva di vedere le cose. C’è un mondo intero che può farti capire chi sei, per cosa vale la pena vivere e persone che a conoscerle ti ribalteranno il cuore. L’essere umano ha scritto nelle vene il desiderio di esplorare.

Partire non snatura, non rende differenti, non rompe i legami. Senza dubbio è una scelta  difficile, che permette però di prendere in mano il futuro. Diffidate da chi vi parla di perdita di tempo: a dirlo di solito è chi o non è mai partito o non ha vissuto interamente il suo viaggio e non conosce la gioia che ora vedo addosso a chi è tornato. Domando di più, sono più attenta, non ho più voglia di perdere tempo, di starmene a non fare nulla.

Tutti, certe notti, abbiamo la nostalgia per qualcosa che non sappiamo, una nostalgia che in parte sicuramente è fatta di quello che pensiamo di aver perduto ma la verità è che la parte più consistente di questa è una nuova speranza, è il desiderio di quanto ancora ci resta da vedere. 

* 23 anni, di Cabiate (Co), corso di laurea in Lettere moderne, facoltà di Lettere e Filosofia, sede di Milano (a destra in alto nella foto)