di Francesca Palmieri *
Un mese e mezzo a Mbalmayo, una piccola cittadina a circa un’ora da Yaoundé, la capitale del Camerun. Io e Giulia abbiamo affiancato per tutto il periodo di volontariato con il Charity Work Program le ragazze del servizio civile e il personale locale del Centro orientamento educativo (Coe). Le attività riguardavano soprattutto il progetto nel carcere: il corso di alfabetizzazione e attività ludico-educative con i minori detenuti, colloqui di assistenza psico-legale con gli adulti e attività riguardanti la cooperativa per l’inserimento lavorativo dei detenuti.
Abbiamo anche affiancato il personale dell’ospedale nella stesura del progetto sociale e nell’analisi di alcuni questionari. Ma in un mese e mezzo abbiamo fatto molto più di questo. Abbiamo avuto moltissime occasioni, che abbiamo colto al volo, di viaggiare, conoscere persone e luoghi, scoprire tradizioni e schemi mentali lontani da noi, lavorare, faticare a capirci, arrabbiarci, ridere insieme a persone fantastiche, pensare, pensare e ancora pensare.
Un giorno un ragazzo in carcere, furente di rabbia, ci ha chiesto: «Ma voi perché siete qui, a noi non serve andare a scuola, a noi servono i soldi. Voi siete bianche e credete che venire qui e fare queste cose serva a qualcosa. No. Non serve a niente. A noi servono i soldi, ma voi che ne sapete?». Il mio cuore ha sentito il colpo. Forte e chiaro. Partire vuol dire anche questo, veder demolire da un ragazzo di 16 anni i tuoi studi, i tuoi valori e le tue certezze. E se avesse ragione lui? Partire vuol dire anche questo, mettersi in discussione e lasciarsi toccare dall’altro. Voi siete bianche. Voi. Bianche. Da quando il bianco è un colore così rilevante?
Nessuno fa mai caso al bianco, la tela bianca la colori, il foglio bianco è vuoto, manca qualcosa. In Camerun invece il bianco è un colore soffocante, stringente, diverso, talmente diverso che a volte desideri di poter dipingere questa tua pelle, portatrice di così tanti stereotipi. Partire vuol dire anche questo, fare i conti con il colore della propria pelle e con tutte le immagini che si porta addosso. Perché possiamo raccontarci tutte le favole del mondo, ma i colori della pelle esistono. Gli stereotipi esistono qui, da questa parte del mondo e esistono là, dall’altra parte del mondo. E allora partire vuol dire essere consapevoli dell’impegno, dei costi e delle sfide che un’esperienza di questo tipo comporta.
Poi certo, inutile dire che le gioie sono tante, le risate contagiose, la vita scorre preziosa e lo scambio è fonte indistruttibile di conoscenza e coscienza. Perché siamo tutti umani e ricordarcelo a vicenda è la battaglia più grande.
* 23 anni, di Milano, secondo anno della laurea magistrale in Politiche per la Cooperazione internazionale, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano