di Annalisa Longoni *
"Mila, Lisa, macarena!": tutte le mattine all'Orphelinat Catholique di Fianarantsoa iniziavano così, con un gruppo festoso di bambini che ci scortava dalla nostra camera al refettorio all'ora di colazione, ballando infinite volte la macarena prima di saltare sul bus che li avrebbe portati a scuola. Le loro risate, urla e canzoncine erano per noi la migliore sveglia che si potesse desiderare e la loro allegria illuminava le nostre giornate: è incredibile quanto questi bambini siano pieni di energia anche alle 5:30 di mattina, quando fuori fa ancora buio pesto.
Ogni bambino all'Orphelinat ha il proprio carattere, la propria storia, le proprie esigenze. Ce lo hanno ripetuto le Suore Nazarene che si prendono cura ogni giorno di questi bambini senza una famiglia alle spalle che li sostenga e ce ne siamo accorte anche noi nelle tre settimane trascorse in Madagascar. C’è Herman, apparentemente forte ma molto sensibile, Meltina, spigliata e intraprendente, Claudin, geloso e coccolone, Frankie, timido e impacciato, e Angèle, chiacchierona e combinaguai. E poi Mamy con la sua aria da furbetta, Feno che fa il “maditra” (monello), Paolo e Félistine con la passione per il basket, Emmanuel dolce ed empatico…
Centottanta bambini che insieme alle suore formano una splendida, chiassosa famiglia di cui anche noi ci siamo sentite parte: partite di calcio, bisticci, sedute di treccine ai capelli, esilaranti lezioni di malgascio, coccole e momenti “pappa” con i più piccini, cori da tifoseria della Nazionale di calcio del Madagascar e giochi improvvisati non mancano mai e rendono ogni giornata diversa dall’altra.
La felicità che si respira in Orphelinat si scontra con le drammatiche storie di questi bambini: alcuni hanno subìto la morte dei genitori o l’abbandono dei familiari, altri invece hanno ancora mamma e papà, ma questi si trovano in prigione oppure semplicemente in ristrettezze economiche o, ancora, non possono occuparsi di loro per via di disturbi psichici o impedimenti fisici. È triste pensare che questi bambini, così vivaci, brillanti e affettuosi non abbiano la possibilità di crescere nella loro famiglia di origine, anche se ci conforta pensare che l’amore, l’educazione e le opportunità che l’Orphelinat dà loro possano almeno in parte compensare la loro condizione.
Non è stato sempre facile per noi fare i conti con un mondo così scioccante e completamente diverso dal nostro. Il Madagascar colpisce per i suoi paesaggi mozzafiato, che si alternano però a scene a cui non si vorrebbe mai assistere: bambini di cinque o sei anni al massimo che portano al pascolo il bestiame, spaccano pietre sotto il sole cocente, aiutano mamma e papà nelle risaie dall’alba al tramonto. Non si riesce a rimanere impassibili davanti a tutto ciò: vedere queste cose ha suscitato in noi una profonda riflessione che ci ha travolte come un fiume in piena: cosa possiamo fare noi in un contesto simile? Quali responsabilità abbiamo di fronte a tutto questo?
Naturalmente non siamo riuscite a trovare una risposta a ognuno dei mille quesiti che ci ponevamo quotidianamente. Qualche risposta, però, ci è stata data inconsapevolmente dalle persone che abbiamo avuto la fortuna di incontrare e che ogni giorno, con il sorriso sulle labbra, si mettono in gioco e cercano di dare il proprio contributo per un miglioramento: mi riferisco ai padri missionari e alle suore impegnate a rendere più vivibili tante situazioni critiche ma anche ai bambini stessi dell’Orphelinat che, nonostante un po’ di paura, non vedono l’ora di affrontare gli esami di fine anno perché sanno che quello è il momento per dimostrare le loro capacità e per rendere orgogliose le suore delle fatiche di un anno scolastico intero (e un po’ anche perché li aspetta una golosa tavoletta di cioccolato alla fine dell’esame!).
Uno degli insegnamenti che il Charity Work Program a Fianarantsoa mi ha lasciato è proprio questo: esistono situazioni complesse, apparentemente insuperabili, ma bisogna tenere a mente che prima di darsi vinti ci si deve impegnare per fare la propria parte e per poter partecipare a un cambiamento in positivo. Ed è quello che mi auguro per ciascuno di questi bambini: che riescano a farsi valere di fronte alle difficoltà sul loro cammino, che riescano a trovare il proprio posto nel mondo, che non perdano mai il loro sorriso contagioso e che possano, con la loro grinta e sensibilità, cambiare le cose in un Paese meraviglioso e difficile, che amano e di cui sono orgogliosi.
* Annalisa Longoni, 22 anni, di Mariano Comense (Co), laureanda triennale in Scienze linguistiche, profilo Lingue per l’impresa, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, campus di Milano