di Alice Podrecca *
Due mesi in Ghana: un’immersione in un altro mondo, trasportata da suoni, movimenti e colori sconosciuti, che i miei occhi cercavano di raccogliere, contenere, fermare in immagini e memoria.
Me lo sono appuntato anche nel mio diario di bordo: “Immergersi e abbracciare la complessità: in questo mondo nuovo e privo di riferimenti, in me. Sto imparando la vita qui e conoscendo il Ghana così come si impara una lingua straniera. Quando il flusso del discorso passa dall’essere indistinta massa di suoni a catena di fonemi, poi morfemi, parole distinguibili anche se ancora sconosciute. Così ai miei occhi il mercato, le bancarelle lungo la strada, il traffico, gli edifici. Pian piano imparo a leggere i riferimenti nuovi, acquisisco comportamenti ghanesi, i miei occhi seguono la danza rapida e imprevedibile, eppure ben organizzata, della gente per strada”.
In due mesi ho toccato e assaggiato solo la superficie di questo Paese, ma ho fatto in tempo a lasciarlo entrare nel cuore, in un misto di passione e insofferenza. Delle tante sensazioni, due sono quelle che restano in me più intense: il tempo e la musica.
Come tutti gli europei che si avvicinano a questo continente, non ho potuto fare a meno di confrontarmi con la concezione e percezione diversa del tempo. Qui il tempo è quello di parlare, di ascoltare, è tempo per cantare, ballare, per nutrire il cuore. Sparisce l’imperativo di ottimizzare ogni istante, di massimizzare la produttività nelle ore di lavoro per risparmiare minuti…da spendere in cosa?
La lentezza è creatività e questo l’ho imparato affrontando momenti di vuoto e noia o di attese apparentemente senza motivo, che si riempiono di allegria e relazioni umane. Il pullman che riporta i bambini a casa dal centro Don Bosco non arriva mai? Sembra non accorgersene nessuno e intanto si gioca, si canta. Il lavoro in ufficio sembra più che altro relegato alle pause tra gli scambi di battute tra colleghi. La relazione umana è quello che conta, prima di tutto. Le ore possono passare in un soffio, pochi minuti possono sembrare eterni: la percezione dello scorrere del tempo dipende solo da noi, non da un orologio che ce la impone. Perciò ogni azione, ogni attività si prende il tempo che richiede, senza fretta.
E tutto lo scorrere fluido dei momenti è denso di suoni, di musica. Quando la sera, con il sole, cala anche il frastuono della strada, si sente più distinta l’esplosione dei canti al ritmo di tamburi. La musica è food for the soul, come ci ricorda sempre un nostro caro amico. Musica che è anche il rumore caotico delle strade, la cacofonia di due pezzi musicali avviati in contemporanea in ufficio, la melodia della lingua twi, i richiami insistenti degli autisti dei tro-tro (mezzi pubblici) e dei taxi per annunciare la direzione della corsa e conquistare nuovi passeggeri. È una colonna sonora che rispecchia un Paese energico, vitale, forse pigro ma non per questo statico. Accompagna un popolo in perenne movimento, che non ha bisogno necessariamente delle vacanze perché non separa la vita e le relazioni dal lavoro: in Africa, come dice un altro saggio amico, si vive e basta.
Il tempo passato tra caos vitale di Ashaiman e la pacifica lentezza di Sunyani all’interno del progetto Vis è stato prezioso, soprattutto grazie alla guida di Gianpaolo (rappresentante Paese) e alle persone che abbiamo incontrato e che ci hanno accompagnate con pazienza ed entusiasmo.
Mi ha offerto la possibilità di imparare, di lavorare concretamente in ufficio e sul campo, trovando una declinazione pratica della teoria studiata tra i banchi universitari. Mi ha permesso di vivere amicizie nuove e profonde e di guardare la vita più in prospettiva, cercando di progettare un percorso più a lungo termine rispetto alla durata di una laurea specialistica. Mi sono anche allenata ad avere uno sguardo attento e libero da schemi che, mio malgrado, limitano la visione delle cose. I ghanesi mi hanno insegnato che davvero un sorriso in più basta a cambiare il corso della giornata e ho percepito il profondo senso di trascendenza che modella la visione della vita e del mondo della loro cultura.
Sono di nuovo a qualche parallelo più a nord, più consapevole anche del senso che voglio dare al mio percorso lavorativo e più buffa agli occhi degli altri quando mi lascio sfuggire gesti che non se ne andranno via molto presto, come lo schiocco di dita durante una stretta di mano, il non porgere mai oggetti o denaro con la mano sinistra, l’istinto di non bere l’acqua del rubinetto mentre lavo i denti, per non parlare dell’«oh, my friend» che esce spontaneo quando meno me lo aspetto, parlando con amici.
* 26 anni, di Piacenza, laureata in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano