di Arianna Belli *
Sono arrivata a Gerusalemme tuffandomi di testa. Faccio spesso così quando mi capita d’intraprendere qualcosa. Il Charity Work Program mi ha dato l’opportunità di occuparmi di bambini fino ai tre anni in un asilo nido. Che attività avrei potuto proporre loro? Quali materiali portare con me per farli giocare? Come avremmo comunicato? Sarei stata davvero utile lì?
Poi ho scoperto che, più che di testa, bisognava lavorare di braccia: chi avrebbe mai detto che possono servire a tante cose? C’è bisogno di braccia per essere sollevati e volare; fra le braccia ci si addormenta, sulle braccia ci si arrampica.
Le braccia contengono in confini sicuri chi ancora non si preoccupa di farsi male. Servono le braccia di qualcuno per arrivare dove da solo non potresti. Le braccia sporcano e lavano, nascondono e scoprono. Dicono sì e no, nutrono, indicano, guidano, salutano. Con le braccia si parla e si ama. All’occorrenza si possono mordere, sbavare, accarezzare. Ma, soprattutto, le braccia ricevono quando si aprono. Questa esperienza mi ha aperto le braccia: ho ricevuto l’amore gratuito, la fatica che non pesa, la bellezza della quotidianità, il valore di ogni vita.
Sono grata, inoltre, alle molte braccia aperte che ho incontrato in queste tre settimane: a quelle delle lavoratrici dell’asilo, sempre pronte a muoversi; a quelle di suor Claudia, che portano senza cedere pesi incredibili; a quelle dei sacerdoti della comunità cattolica di lingua ebraica, che hanno cercato gli invisibili e deciso di lavorare per loro.
Sono stata stretta anche dalle braccia di pietra intorno a Gerusalemme vecchia e al Santo Sepolcro, che contengono qualcosa di prezioso; dalle braccia calde del sole del deserto e da quelle fresche dell’acqua del fiume Giordano, che mostrano come la vita possa nascere da qualsiasi cosa venga toccata; dalle braccia delicate del vento della Galilea, che fanno capire cos’è la presenza senza prepotenza.
Purtroppo, ho visto anche muri costruiti da braccia forti, divieti affissi da braccia scaltre, ordini dati da braccia cieche, armi portate da braccia giovani. Auguro a questa terra affascinante e travagliata di scoprire presto come trasformare una morsa in un abbraccio.
* 24 anni, di Roma, laureata in Medicina e Chirurgia, campus di Roma