In un Paese come il nostro, che vive di produzione di alta qualità, è sempre più cruciale l’esigenza di formare specialisti in grado di affrontare con taglio interdisciplinare le questioni poste dall’industria della moda, così da rispondere alla crescente domanda – da parte degli studi legali, delle aziende e degli imprenditori – di figure competenti e dotate di capacità adattative e risolutive.
Coerentemente con l’obiettivo di preparare professionisti capaci di gestire le nuove questioni giuridiche che interessano il settore del Fashion, l’incontro che ha inaugurato ufficialmente la prima edizione del Corso di Alta Formazione in Fashion Law, promosso dall’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (ASGP) in collaborazione con Camera Nazionale della Moda Italiana (CNMI), si è sviluppato nel senso di una “conversazione” tra un legale e un imprenditore: l’Avv. Ida Palombella, partner di Deloitte Legal Italia, e Riccardo Pozzoli, imprenditore e start-upper, hanno offerto agli studenti del Corso e ai partecipanti una testimonianza diretta delle difficoltà che riguardano la comunicazione nella moda e della necessità per il giurista di trovare inedite soluzioni di assistenza e di consulenza.
A ben vedere, la moda è un settore che tende per sua stessa natura all’innovazione e che con l’avvento delle nuove tecnologie e del digitale ha subito un cambiamento radicale. Fino a pochi anni fa, non esisteva ad esempio la parola “influencer”: sempre più emergevano soggetti che mostravano i prodotti di un certo brand ma non erano ancora qualificati giuridicamente. Con il rapido affermarsi del fenomeno, le autorità di tutto il mondo si sono rese conto dell’opportunità di regolamentare questa attività (che era una vera e propria forma di pubblicità), anche al fine di fare comprendere al consumatore che vi era un accordo sottostante tra il brand e l’influencer. Sebbene permangano ampie aree grigie, oggi tale figura risulta sicuramente più istituzionalizzata, essendo chiaro al pubblico che si tratta di un veicolo promozionale.
Come ben delineato da Ida Palombella e da Riccardo Pozzoli, si sta peraltro recentemente assistendo a una tendenza opposta, per cui l’influencer già affermato finisce per trasmettere una ridotta spontaneità e per esercitare una minore presa sul pubblico. Di qui il sempre maggiore coinvolgimento da parte dei brand anche dei c.d. micro-influencer, che fungono da punto di riferimento per uno specifico e delimitato topic e che hanno una forza di conversione elevatissima in proporzione alla fascia di destinatari.
Si tenga del resto conto che esistono appositi sistemi che consentono di misurare l’efficacia dell’azione dell’influencer e l’impatto nel suo rapporto con il brand: vi sono agenzie, vari tool digitali, che permettono di determinare l’engagement e che dunque danno un’idea della capacità di interazione nella community. Al di là di tali sistemi che rischiano di offrire un metro valutativo sterile, sarebbe preferibile che si valorizzassero analisi di tipo qualitativo, fondate sull’affinità dell’influencer con il sistema valoriale del brand, che in una visione di lungo periodo consentirebbero di esercitare maggiore impatto sui consumatori interpellati.
L’incontro si è concluso con la delineazione, da parte di Ida Palombella e di Riccardo Pozzoli, dei caratteri che un legale dovrebbe possedere per potere aspirare a lavorare nel settore del Fashion. È anzitutto necessario che non si limiti a esaminare le questioni giuridiche ma che cerchi di comprendere il business, “sporcandosi le mani” con il cliente. Secondo, fondamentale elemento è la flessibilità: in un mondo molto creativo, dinamico, talvolta imprevedibile, quale è quello della moda, il consulente deve essere capace di affrontare questioni inattese, reagendo con velocità e con propensione al rischio. Soprattutto, deve essere in grado di comunicare e di utilizzare un linguaggio semplice, comprensibile e vicino al cliente. È infine fondamentale che possieda globalità della visione, in quanto non esiste business – a maggior ragione nell’industria della moda – che parta senza una prospettiva internazionale.