Secondo di due articoli dedicati alla presenza dei docenti dell'Università Cattolica a Economy of Francesco, l’appuntamento internazionale voluto dal Santo Padre, che da giovedì 19 a sabato 21 novembre, da Assisi, ha coinvolto giovani, ricercatori ed economisti connessi da tutto il mondo. Il punto di partenza per una nuova economia.
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La prospettiva di un nuovo modello di sviluppo che guardi al sociale e all’ambiente così come è stato auspicato dal Santo Padre richiede riflessioni e proposte sulla nostra concezione di economia. In questo senso, uno dei temi emersi durante Economy of Francesco è ripensare il fine ultimo dell’azione economica: non più il profitto, ma la pace (seppur declinata in maniera più complessa). Di questo si è dibattuto nell’incontro “Peace economics and industrial reconversion: a recovery plan for the world”, apertosi con un’affermazione forte: la pace non è solo l’assenza di guerra, ma anche la presenza di vera giustizia.
Secondo Raul Caruso, docente di Economia della pace all’Università Cattolica del Sacro Cuore, una prima difficoltà riguarda il trattato Onu per dichiarare illegali tutti gli armamenti nucleari che al momento non è stato ancora ratificato dalle grandi potenze (Stati Uniti, Cina e Russia), mentre la seconda (più capillare) è relativa alla tendenza dei manager delle aziende quotate in Borsa a massimizzare i profitti soprattutto nel breve termine. Questo è ben visibile proprio nel mercato internazionale degli armamenti che è ampiamente deregolato, ma che dovrebbe essere posto sotto il controllo di un organismo internazionale e indipendente.
Secondo il professor Caruso, la rottura del potere preponderante dell’industria bellica costituirebbe un primo passo verso un nuovo paradigma commerciale, un’economia inclusiva. Un obiettivo non così irraggiungibile e che possiamo conseguire con alcuni semplici passi: l’educazione di futuri imprenditori, economisti e giovani talenti; armonizzare la ricerca del profitto con la produzione di beni comuni (atto fondamentale nel mondo post pandemia) e infine fornire all’economia mondiale un nuovo scopo concreto: la pace.
A ribadire il concetto che la pace sia un fenomeno complesso è proprio il primo relatore dell’evento, Juan Camillo Cardenas, docente all’Universidad de los Andes in Colombia: la pace non esiste quale entità a sé stante, ma è strettamente legata ai concetti di natura e bene comune. A questa considerazione fa eco un’affermazione analoga contenuta nell’enciclica Laudato Si’: «La pace, la giustizia e la preservazione del creato sono tre temi assolutamente interconnessi che non possono essere separati o trattati singolarmente senza cadere una volta ancora nel riduzionismo».
Ma la pace non può ridursi al senso di sicurezza. Secondo il professor Cardenas, la sicurezza sminuisce il valore più elevato della pace poiché la si confina a un beneficio personale senza influenza alcuna sugli altri. Si tratta quindi di una visione egoistica figlia del modello economico corrente. Per spezzare questo schema, si rende necessaria l’introduzione di una versione differente del concetto di bene: non più privato o in comune, ma universale, ovvero in un rapporto simbiotico tra il soggetto e gli altri membri della sua comunità.
A completamento dell’unione tra pace e beni universali non si può prescindere dal rapporto profondo dell’uomo con la natura, una relazione che può avere effetti positivi per il singolo quanto per la comunità. Sempre secondo la Laudato Si’, la tutela della natura, o della “casa comune”, non risulta soltanto nel conseguimento di una pace autentica, ma anche in una comprensione più profonda del valore stesso della vita. Per il professor Cardenas, questo punto costituisce la chiave di volta per spostarsi dal concetto di homo economicus a quello di uomo “nella terra”, ovvero immerso in una fitta rete di relazioni tra il suo comportamento e il contesto umano e ambientale che lo circonda.
Il raggiungimento della pace tuttavia non è impresa semplice a causa della forte influenza del modello economico vigente che in larga misura è l’unico a decidere la direzione della maggior parte degli investimenti mondiali. «Il denaro spesso è visto come il simbolo di un sistema che amplifica il nostro egoismo e devia dalla crescita spirituale», sottolinea Susi Snyder, coordinatrice del progetto internazionale “Don’t bank on the bomb”. La più concreta manifestazione di un’economia che non contribuisce alla pace è il comparto dell’industria bellica: nel solo 2019 le spese militari mondiali hanno raggiunto la cifra di 2 trilioni di dollari, dei quali 72-73 miliardi per lo sviluppo di armi nucleari. Queste cifre sorprendono se si pensa che ormai è universale lo stigma contro questi strumenti di distruzione nel breve e nel lungo periodo. «Sono i simboli di un’economia che finanzia guerra e morte invece della pace» - precisa– «sono contro le persone, l’ambiente e il futuro».
Ci sono però notizie positive: non solo un sempre maggior numero di investitori sta rinunciando all’industria bellica e il prossimo 21 gennaio (pur con l’importante distinguo ricordato dal professor Caruso) entrerà in vigore il citato trattato Onu che mette al bando tutti gli armamenti nucleari.
Il cammino è ancora lungo, ma con la volontà e l’aiuto di tutti realizzare la pace è possibile.