Riprese in bianco e nero: un gigantesco studio di registrazione, pianoforti, chitarre, batterie, e la voce fuori campo di Dave Grohl che esclama: “Mi sento come un bambino in un negozio di caramelle”.
Inizia così Play, un documentario di trenta minuti realizzato proprio dal musicista statunitense. L’ex batterista dei Nirvana e frontman dei Foo Fighters, parla di sé e del mestiere di chi vive facendo musica. Venti minuti dell’intero documentario sono dedicati a un brano strumentale in cui Dave Grohl suona sette strumenti in presa diretta. “Ho dedicato un’intera vita alla musica. E la ricompensa, in fin dei conti, è solo poter suonare”, dichiara il polistrumentista prima di lanciare il brano.
Play è stato proiettato venerdì 23 novembre all’Università Cattolica nell’ambito di una lezione aperta dedicata a Lo studio di registrazione come luogo di formazione e la figura del produttore musicale. Presenti all’evento, in qualità di moderatori, Gianni Sibilla, direttore didattico del master in Comunicazione Musicale, e Luca De Gennaro, curatore artistico della Milano Music Week, la cui seconda edizione si è svolta a Milano tra il 19 e il 25 novembre. Presenti inoltre, in qualità di ospiti, Luca Fantacone, discografico per SonyMusic, e Alessandra Brizzi, presidente dell’Associazione Carlo U. Rossi.
Dopo la proiezione del documentario, la lezione è entrata nel vivo. Luca De Gennaro ha evidenziato uno dei principali elementi di confusione legati alla figura del produttore musicale: «Molti pensano che sia come il produttore cinematografico, cioè quello che ci mette i soldi. Invece non c’entra niente, il suo mestiere è tutt’altro». Il produttore musicale, spiega De Gennaro, svolge un ruolo delicatissimo: «È quello che cura un disco, che fa funzionare un’opera».
Il focus sulla figura del produttore artistico è ben calibrato sul pubblico presente in aula: come fa notare Gianni Sibilla, seduti ad ascoltare ci sono tanti studenti del master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica e molti tra questi aspirano proprio a ricoprire quella posizione, una volta terminato il percorso di formazione.
«Il produttore artistico è una figura molto complessa» prosegue Luca Fantacone. «Deve avere un carattere molto forte perché deve saper “gestire” un artista, deve essere in grado di reggere i suoi umori». Il produttore «vede qualcosa che l’artista ancora non ha visto o che non ha ancora messo a fuoco». Fantacone smonta un’idea diffusa nell’ambiente musicale: «Si crede spesso che il produttore stia dalla parte del discografico e non da quella dell’artista: non è così, non deve mai essere così».
Alessandra Brizzi ricorda il marito Carlo Ubaldo Rossi, una delle figure più e autorevoli della recente scena musicale italiana, produttore ma anche musicista, compositore, ingegnere del suono: «Secondo Carlo – racconta Brizzi – non è possibile fare il produttore senza essere anche un buon musicista. Così come non è possibile fare il produttore senza essere anche un fonico».
La figura del produttore musicale incarnata da Carlo Rossi era appunto una figura poliedrica, capace di muoversi con piena consapevolezza e padronanza nel variegato mondo della musica senza lasciarsi sfuggire nessun dettaglio: «Mio marito aveva sempre una visione d’insieme, che gli permetteva di sapere con chiarezza ciò che voleva tirar fuori da un artista». È nel ricordo di Carlo Rossi che l’Associazione ha deciso di dar vita a un Premio per i produttori artistici. La cerimonia di inaugurazione si svolgerà il 26 settembre a Torino.
«È la prima volta in Italia – evidenzia De Gennaro – che si offre un riconoscimento di questo tipo alla figura del produttore». Una piena consacrazione, dunque, di un ruolo che negli anni ha acquisito un valore sempre più importante e centrale.