Il direttore del dipartimento di Scienze politiche dell'Università Cattolica proprone una lettura acuta del momento politico chew attraversa il nostro Paese, dopo una tornata elettorale senza veri vincitori. L'ipotesi è che una stagione politica iniziata nel 2011 si sia conclusa e che se ne stia aprendo una nuova, tutta da capire, in cui non è detto che le pulsioni populiste siano state sconfitte. L'analisi del politologo pubblicata sull'Huffington Post


di Damiano Palano *

Il responso che le urne ci hanno consegnato la sera del 21 settembre si presta a letture molto diverse. Nessuna delle principali forze politiche può dirsi veramente sconfitta. Il Movimento 5 Stelle può rivendicare il successo della propria riforma costituzionale, che corona la tradizionale battaglia contro la “casta”. Il Partito Democratico è riuscito a riconfermarsi con i propri candidati alla guida di regioni cruciali come Campania, Puglia e Toscana. Il fronte di (centro)destra può invece stilare un bilancio almeno in parte positivo per la riconferma di Toti in Liguria e di Zaia in Veneto, ma anche per la vittoria di un proprio candidato nelle Marche. Ciò nonostante, nessuno esce davvero vittorioso da questa anomala tornata elettorale. Anzi, si potrebbe persino sostenere che tutti i principali contendenti escano in varia misura sconfitti. Forse non è così del tutto improprio leggere questo appuntamento elettorale come un “giro di boa”, con cui si conclude un ciclo della politica italiana, iniziato nel 2011. E come il punto di avvio di una nuova stagione, ancora in cerca di un’identità e di protagonisti.

Il Movimento 5 Stelle
Il referendum costituzionale è un “giro di boa” per i pentastellati perché il favore degli elettori verso il taglio dei parlamentari non può nascondere le enormi difficoltà che questa formazione politica sperimenta (certo non da oggi). L’abbandono dei territori, l’incapacità di incidere sulle elezioni locali e regionali, il logoramento dovuto all’esperienza di governo, l’eclatante contrasto tra la retorica delle origini e la realtà di un ceto parlamentare adeguatosi molto presto ai rituali (e ai “privilegi”) del potere, l’abbandono di pressoché tutte le battaglie che avevano segnato la nascita del Movimento sono anzi elementi che rendono il “giro di boa” molto simile a un finale di partita, o quantomeno al suo preludio. Tutte queste criticità non sono d’altronde elementi congiunturali, perché hanno a che vedere con la stessa fisionomia originaria dei 5 Stelle. Un partito post-ideologico non può infatti contare su quelle risorse identitarie cui, anche nei momenti critici, possono affidarsi i partiti ideologici e subculturali. E la retorica anti-politica, anti-casta, anti-establishment è una risorsa davvero troppo friabile, oltre che un’arma di cui nuovi sfidanti possono agevolmente impossessarsi. 

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* docente di Scienza della politica alla facoltà di Scienze politiche e sociali, direttore del dipartimento di Scienze politiche, Università Cattolica del Sacro Cuore