Di Massimo Marassi *

Ieri è morto Sir Roger Scruton, uno dei più grandi filosofi del nostro tempo, conservatore, polemista, si è espresso con entusiasmo e vivacità su tutti i temi che caratterizzano l’odierno dibattito culturale, dall’estetica alla religione, dalla politica alla musica, dal desiderio al vino: La bellezza, (Vita e Pensiero); Il volto di Dio, (Vita e Pensiero); Il bisogno di nazione, (Le Lettere); Manifesto dei conservatori, (Cortina); Comprendere la musica, (Cantagalli); Sulla natura umana, (Vita e Pensiero); Bevo dunque sono, (Cortina).

Una vita accademica intensa che lo ha visto professore a Birkbeck e a Boston e visiting in numerose università di mezzo mondo. Un intellettuale schierato in prima linea su tutti gli argomenti abitualmente estenuati dal logorio continuo dell’approccio decostruzionista del relativismo postmoderno oppure evitati abilmente dai filosofi più prudenti. Nato nel 1944 ha scritto più di 50 volumi (molti tradotti in italiano) di politica, morale, estetica, architettura, centinaia di articoli, ha tenuto lezioni e rilasciato interviste che hanno consolidato la sua fama di pensatore arguto, influente, brillante, originale.

Critico di una costituzione europea a suo dire elaborata come negazione del proprio passato, priva di una visione rispettosa delle identità nazionali a vantaggio di interessi burocratici e commerciali senza alcuna missione culturale. A Scruton sta a cuore la costruzione di un futuro per l’Europa che sia coerente con la propria eredità e quindi non nasconde che una certa forma di immigrazione rappresenti un ostacolo difficile da superare come pure vede nella visione religiosa e politica islamica l’antitesi della concezione cristiana che affida al cittadino il governo della società umana.

Il multiculturalismo, nonostante tutti i problemi che comporta, sarebbe una realtà non votata allo scontro se solo il diritto di affermare la propria identità non fosse una prerogativa esclusiva delle minoranze, ma a maggior ragione anche delle maggioranze. La tolleranza caratteristica della cultura occidentale si è mutata in un superficiale accomodamento applicabile a ogni situazione e problema, compreso quello riguardante l’identità culturale dell’Europa. L’Europa si è dimostrata talmente debole da giungere a rifiutare la propria eredità, costituita da precise forme di diritto e di religione.

Compito primario della cultura attuale è allora una difesa di un’eredità assopita, più di facciata che di sostanza, in cui cresce il divario tra la vita e le sue espressioni culturali. In tale contesto il ruolo degli intellettuali dovrebbe innanzitutto esprimersi nel sollecitare un consenso pubblico intorno ai grandi temi della laicità dello stato, della libertà di coscienza, tutti frutti della tradizione giudaico-cristiana, capace di riconoscere l’alterità non come una minaccia, ma come fonte di vitalità per l’ordine sociale. Lo sviluppo democratico è direttamente proporzionale a una concezione di cittadinanza fondata sul perdono e sul consenso, elementi questi non presenti in tutte le concezioni religiose e politiche. Il perdono non come atteggiamento teorico, ma come esempio concreto di rapporto con la diversità, il riconoscimento dell’altro e l’accettazione del suo diritto di essere diverso consentono il rinnovamento di una civiltà altrimenti votata al conflitto permanente e alla discriminazione.

Certamente un programma da intellettuale conservatore, ma non da ottuso reazionario, un progetto secondo cui una società di cittadini responsabili può esistere solo in forme libere di associazione, senza costrizioni. E la libertà viene meno proprio quando le società sono organizzate dall’alto e hanno l’aspetto di una dittatura o di una burocrazia, che certo non è meno violenta. In questo caso nessuno è più tenuto alla responsabilità personale nei confronti della costruzione sociale e dell’ordine politico. E gli individui che non si prendono più cura di sé e degli altri impediscono la costruzione di un futuro per nuove generazioni di uomini liberi. Sir Roger Scruton: un intellettuale fiero di non essere conformista.


* Direttore del Dipartimento di Filosofia, campus di Milano