La foresta amazzonica è la più grande del mondo, con i suoi 5,5 milioni di kmq. Da sola produce circa il 20% dell’ossigeno della Terra e assorbe ogni anno circa 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Il suo ruolo nell’ecosistema mondiale è fondamentale. Una ricchezza che sta andando in fumo ormai da mesi e gli scienziati di tutto il mondo lanciano l’allarme perché tra gennaio e agosto 2019 si sono verificati 72mila incendi contro i 40mila dello stesso periodo del 2018, con un aumento dell’83%.
La foresta amazzonica è un serbatoio di biodiversità formidabile. Perderla significa perdere specie, ma anche mettere in crisi la lotta ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale.
Quale sarà l’effetto immediato degli incendi lo spiega Giacomo Gerosa, docente di Ecofisiologia alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università Cattolica.
«Gli incendi rilasciano grandi stock di carbonio immagazzinato nei tronchi e nel suolo. La foresta diventa un formidabile immettitore di CO2 nell’atmosfera, come se fosse un enorme gruppo di ciminiere, aggravando in questo modo l’effetto serra».
Dagli anni ‘40 con la continua deforestazione è già stato perso il 25% della foresta Amazzonica. C’è un punto di non ritorno? «Non lo sappiamo. Però è certo che se distruggiamo anche solo un ettaro di foresta primaria, non ricrescerà più; avremo una foresta secondaria che sarà solo una pallida copia di quella primaria. Ogni distruzione è una perdita irreparabile. Quella che abbiamo ora non si riformerà più perché si è creata in condizioni che ora non ci sono più. La foresta che rinascerà avrà caratteristiche diverse, una ricchezza di specie inferiore e anche le stesse piante avranno un’altezza non più 40-50 metri, ma arriveranno solo a 20-25 metri. Purtroppo non si ricreerà più il sistema foresta amazzonica pluviale come lo intendiamo ora».