Era il 1962 quando i ravioli al vapore e gli involtini primavera entrarono a far parte delle abitudini gastronomiche milanesi. Il primo ristorante cinese fu aperto in via Fabio Filzi, vicino alla stazione Centrale. Cinquantasette anni dopo, a Milano, si contano circa 30mila residenti cinesi, una comunità in continua crescita, il cui fulcro rimane via Paolo Sarpi, luogo d’incontro per eccellenza della popolazione cinese, ma ormai, è il caso di dirlo, anche italiana.
È proprio lì, infatti, che all’inizio degli anni Sessanta cominciano a prendere vita famiglie miste, nate da matrimoni tra i primi commercianti cinesi, arrivati all’inizio degli anni trenta dalla Cina orientale con valigie piene di chincaglierie da vendere e da ragazze milanesi di origini umili ma di vedute abbastanza ampie da superare le convenzioni e sposare uno straniero dagli occhi a mandorla.
Matteo Demonte, autore di Chinamen insieme a Ciaj Rocchi, e nipote e figlio di una di queste famiglie miste, decide di raccontare la storia del nonno, che diventa così il protagonista avventuriero della sua graphic novel.
“Operoso, coraggioso, buono”, è così che l’autore descrive Wu Li Shan, il capostipite della famiglia. Un giovane venditore ambulante che da uno sperduto villaggio di montagna della Cina orientale arriva a Milano nel 1931, dove sono appena terminati i lavori per la costruzione della nuova Stazione Centrale e le vie sono piene di gente. Wu non conosce l'italiano e ha a malapena una stanza dove stare, ma quella città gli piace: adora il rumore dei passi cadenzati sui marciapiedi, le carrozze sulle strade, le chiacchiere delle belle signore che tengono i figli per mano.
Prima che a Milano Wu ha vissuto in altre grandi città, Parigi e Amsterdam, eppure comprende che è l'Italia il luogo che il destino ha scelto per lui e per il futuro della sua famiglia. Da venditore ambulante a titolare d'azienda, dal matrimonio con la sarta italiana Giulia, alla Rivoluzione Maoista che lo allontanerà per sempre dal paese natale, pagina dopo pagina la vita e le imprese di Wu rinascono nella memoria più intima del nipote per diventare finalmente una storia universale.
Quel che in Primavere e autunni, edito nel 2015 e scritto a quattro mani dagli stessi autori, era l’indagine di un fenomeno storico, in Chinamen, invece, si espande e diventa un romanzo corale a fumetti, una storia di decenni di generazioni e della nascita e dello sviluppo di una comunità che, da pochi venditori ambulanti di perle, diventa una realtà radicata, prospera e fiorente.
Un vero e proprio caso editoriale, quello di Matteo Demonte e Ciaj Rocchi, che con la loro Chinamen, sono stati in grado di farsi conoscere e pubblicare anche nella Repubblica Popolare. Un’impresa non da poco, considerando che nemmeno Tex Willer è stato tradotto in mandarino.
«Dal punto di vista sociologico questa storia è inedita anche in Cina. Fino a poco tempo fa i migranti erano considerati alla stregua di traditori, ora invece vengono rivalutati e inseriti all’interno dell’epica nazionale come eroi del lavoro, dal profondo spirito di abnegazione, capaci di sopportare mille difficoltà», spiega l’autore.
È lo stesso Demonte a rivelare alcuni dei problemi nel passaggio dall’edizione italiana a quella cinese: «Abbiamo eliminato su indicazione dell’editore alcune pagine, ad esempio alcuni riferimenti storici sulla rivoluzione culturale e alcune immagini di Mao non reputate ufficiali dal partito, si tratta comunque di una perdita non essenziale perché le pagine di storia cinese erano state pensate soprattutto per il pubblico italiano». Tra le pagine dell’opera troviamo un dietro le quinte della storia illustrata, un esempio di buona integrazione che rende perfettamente l’idea del radicamento dei cinesi nel capoluogo lombardo, dove ormai sono presenti da un secolo.
L'immagine in alto è tratta dal sito Chinamen