Costruire un pensiero transdisciplinare per leggere i fenomeni complessi e combattere l’avanzata della deculturalizzazione. È la grande sfida che sono chiamate ad affrontare oggi le università in un contesto globale attraversato da forti disuguaglianze ancor più acuite dalla pandemia. Ed è il ruolo delle università per un patto educativo globale emerso dal webinar che ha chiuso il Seminario di studio promosso dal Centro pastorale dell’Università Cattolica, rivolto ai 56 tra docenti di Teologia e assistenti pastorali dei cinque campus dell’Ateneo.
Un tema analizzato sotto varie sfaccettature grazie al contributo di protagonisti del mondo accademico e culturale nazionale. Tra loro, Roberto Cingolani, Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo, monsignor Antonino Raspanti, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e comitato scientifico Cortile dei Gentili, Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica. «La prospettiva dentro cui si muove questo dialogo è quello più ampio del patto educativo globale lanciato da papa Francesco, che sarà celebrato il 15 ottobre con un evento multimediale», ha esordito l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica monsignor Claudio Giuliodori.
L’educazione resta infatti una questione cruciale nel nostro Paese, soprattutto in questa fase di ripartenza post-Covid accompagnata da continue polemiche proprio sul fronte della riapertura delle scuole. «La deflagrazione di problemi e anche di domande che tutti noi ci siamo posti nel contesto pandemico rende ancora più rilevante il tema delle università e le trasformazioni che stanno vivendo per un patto educativo globale», ha detto la coordinatrice del dibattitto Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore vicario dell’Ateneo e presidente di Alumni, tra i promotori dell’iniziativa.
Ma qual è il ruolo che possono svolgere le Università? «Se parliamo di futuro non possiamo ignorare la crescita esponenziale delle tecnologie che richiedono una conoscenza diversa», ha risposto lo scienziato e fisico Cingolani. «Si parla di recycling, reengineering, edge computing, agricoltura di precisione, di genomi. Ma il punto è che, se non alimentiamo un pensiero transdisciplinare, queste ‘materie’ non si possono utilizzare». Ed è qui che entra in gioco l’università cui spetta il compito di «insegnare a essere transdisciplinari», a fornire un «approccio al problem solving» e, non da ultimo, agevolare la «mobilità sociale» e «generare opportunità per le classi meno favorite».
Del resto, le disuguaglianze culturali in intere aree geografiche rappresentano da sempre una spina nel fianco del nostro Paese. Un dato che, secondo monsignor Raspanti, emerge in maniera eclatante anche nell’ultima edizione del Rapporto Giovani condotta dall’Istituto Toniolo. «Quello che mi ha colpito, leggendo l’indagine, è il sentimento di frustrazione dei giovani che vivono nelle parti meno sviluppate» e quel senso di incapacità di «poter incidere sul miglioramento della loro realtà sociale». La questione messa in evidenza dal patto educativo globale del Santo Padre, ha osservato monsignor Raspanti, «è il tentativo dell’unità dal punto di vista teologico e filosofico di fronte a questa situazione che si frammenta» e in questo senso un contributo a tutto ciò può essere dato dalle università, chiamate in causa «per creare e ricreare nuovi linguaggi e nuovi modelli di sviluppo». Un’unità basata sul dialogo tra humanities e scienza, da cui la teologia non deve essere «espulsa» o «ghettizzata» altrimenti il rischio è quello di «rimanere indietro» minando alla base quello che da sempre è stato il suo «contributo alla società».
Andrea Riccardi, da storico, preferisce andare indietro nel tempo e fermarsi sulla parola globale per pensare a quale può essere il ruolo delle università. «Vorrei partire dallo spaesamento dell’uomo e della donna contemporanea davanti a un mondo che è estremamente cambiato». Infatti, ha osservato Riccardi, «dobbiamo riconoscere che gli ultimi trent’anni di globalizzazione hanno completamente modificato l’ambiente, la donna, l’uomo e i giovani». Eppure, ha aggiunto lo storico, «ci troviamo di fronte a una globalizzazione profondamente incompiuta da un punto di vista politico, economico, spirituale» nel senso che viviamo una «frammentarietà incredibile» che si è manifestata in tutta la sua pienezza nel modo in cui abbiamo reagito alla pandemia. In questi trent’anni di globalizzazione «si è sviluppato un forte bisogno di identità» e abbiamo assistito così alla costruzione di «identità nazionaliste, addirittura cattolico–nazionaliste», al sorgere di fondamentalismi. Tuttavia, a fronte di questi cambiamenti, il «segnale più preoccupante è l’avanzata della deculturalizzazione».
Ecco allora perché «per leggere il mondo globale nella sua complessità c’è bisogno di più sapienza e di più cultura».Soprattutto tra i giovani, per evitare che approdino a «semplificazioni» che li possono emarginare. Per Andrea Riccardi la Laudato si’ e anche la prossima enciclica di papa Francesco si collocano in questa linea di «creare una cultura di base per vivere sugli orizzonti del mondo globale» laddove «le università sono luoghi privilegiati per favorire la ricostruzione di un umanesimo globale».
Un compito che, secondo il rettore Franco Anelli, possono adempiere solo se il «capitale umano che devono creare non è più declinato in relazione a qualcosa che serve», fatto di skill che sono tali in quanto utili. La missione dell’università è di formare persone con un’«attitudine alla cultura» perché solo «una società colta e rispettosa della conoscenza non ci lascia indietro nella competizione globale».