Hanno frequentato la scuola di giornalismo dell’Università Cattolica o hanno incarichi di docenza e sono in prima linea, su diverse testate, nel racconto della pandemia da Coronavirus. Ma testimoniano tutti insieme che i media, soprattutto online, restano ancora vitali. Le voci dei nostri reporter in una serie di articoli


In Rai è entrata nel luglio 2016. Con lei, tra i magnifici 100 selezionati, altri nove suoi colleghi diplomati alla Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica. Tutti hanno superato non solo tre prove d’esame ma anche un’agguerrita concorrenza, convincendo con il proprio lavoro la Commissione presieduta da Ferruccio De Bortoli. Maria Chiara Grandis, dopo aver lavorato alla Testata giornalistica della Liguria, oggi è uno dei volti del Tgr Lombardia. Anche lei alle prese, come tanti colleghi, con il racconto in prima linea dell’epidemia da Coronavirus. E con le sue conseguenze.

«Il nostro lavoro sta cambiando da un punto di pratico» afferma Maria Chiara. «L’obbligo della distanza e l’uso delle mascherine impone interviste fatte in modo diverso. Altra questione pratica è la differenza rispetto a prima del nostro lavoro sul territorio. Ci si ritrova a passare intere giornate fuori dove è tutto chiuso e non hai nessun punto d’appoggio. Per il giornalista lavorare sulla strada ora è molto complicato perché la condizione è veramente particolare».

Si sente più responsabilizzata quando va in onda per il telegiornale? «La responsabilità è sempre la stessa: il dovere di informare. Il nostro codice deontologico quindi non cambia. Poi è chiaro che magari queste notizie più di altre interessano molto ai telespettatori. Questa volta è coinvolta la vita di tutti non trattandosi di un fatto di cronaca che magari può interessare solo una ristretta cerchia di persone». 

Nell’immaginario comune è cambiata la percezione della figura del giornalista? «Le persone più di altre volte percepiscono un rischio per la salute di tutti e ci ringraziano per il nostro lavoro. Si rendono conto che anche noi stiamo rischiando nonostante si utilizzino tutte le precauzioni del caso. La gente ora ci dice grazie e questo è molto bello e gratificante perché ti rendi conto che arriva quello che stai facendo ed è una gran bella motivazione».

Può raccontarci un aneddoto? Qualcuno che l’ha ringraziata personalmente? «Capita frequentemente. Magari fai un’intervista e ti dicono “grazie per il lavoro che fate”. È capitato che anche la gente che abbiamo intervistato durante i controlli di polizia abbia ringraziato sia noi che gli agenti per il lavoro svolto. Questo è molto emozionante».

Quindi anche le persone che in quel momento erano controllate dalla polizia vi hanno ringraziato… «Esatto. Mentre venivano controllate hanno notato che eravamo con la troupe a registrare il servizio e hanno ringraziato le forze dell’ordine per il lavoro svolto sulla strada e anche noi. Questo fa capire come ci sia una grande disponibilità da parte di tutti nel rispettare le regole per cercare di far finire tutto questo al più presto».

Percepisce insomma che tutti stiano remando dalla stessa parte? «Secondo me le persone lo hanno capito e ci stanno mettendo del proprio. Tutti in qualche modo abbiamo cambiato le nostre abitudini di vita e quindi ognuno fa la sua parte».

Pensa che questo cambiamento del giornalismo sarà temporaneo oppure permanente? «Una cosa che rimarrà è l’esperienza tecnologica che stiamo facendo tutti. Visto che magari ancora per un po’ di tempo le distanze verranno mantenute si continueranno a utilizzare i sistemi Skype. Oggi per esempio si realizzano le interviste a distanza perché le persone non possono uscire di casa e allora si utilizzano i mezzi tecnologici. Tante volte si demonizzano il web e i social invece questa volta sono stati proprio gli strumenti che hanno consentito l’informazione e il contatto con le famiglie rimaste isolate. Dal punto di vista tecnologico qualcosa è cambiato e si manterrà».

Tornerei brevemente sulle persone che vi hanno ringraziato. Il giornalista è tornato a essere un punto di riferimento? «Di certo ci ascoltano perché siamo il tramite tra le istituzioni e la gente. Credo che le persone stiano scoprendo il fatto che di fronte a una mole massiccia di informazioni ci sia bisogno di qualcuno che le traduca e le verifichi. Da questo punto di vista è sempre più importante il ruolo del giornalista perché è colui che rende le comunicazioni fruibili a tutti. Quindi forse da questo punto di vista si, il giornalismo è un punto di riferimento. Anche la televisione in questo momento con tutte le persone rimaste a casa è un punto di riferimento importante».

Beh sì quando va in onda il telegiornale si dice sempre: sentiamo cosa ci dicono… «Esatto, diciamo che ancora di più rispetto ad altre volte la gente fa affidamento ai giornalisti e li ascolta».

Soprattutto per quella funzione che accennava prima di traduttori dei messaggi della politica . «Esatto. Parliamo di decreti, ordinanze ma anche di letture e interpretazioni dei dati. Un giornalista ascolta più persone e fa da mediatore. In questo senso anche il coinvolgimento di esperti è fondamentale».