“Chierici, cortigiani, battitori liberi. Quale ruolo per gli intellettuali?” è il titolo del convegno promosso dal centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, che si terrà mercoledì 30 ottobre in cripta aula Magna (largo Gemelli 1, Milano) a partire dalle 9.30. In questa occasione il professor Giuseppe Lupo ha lanciato un dibattito a cui hanno aderito alcuni docenti della Cattolica. Pubblichiamo l’articolo del professor Silvano Petrosino
di Silvano Petrosino *
Il più delle volte sono gli intellettuali a interrogarsi sul “ruolo degli intellettuali “; agli altri, a dire il vero, non gliene importa granché. E in effetti un simile interesse - quello degli intellettuali per il “ruolo degli intellettuali “ - ha, in un certo senso, uno strano “sapore”, visto che l’intellettuale - ammesso e non concesso ch’esso esista - non fa l’intellettuale, non svolge il lavoro di intellettuale, ma è un professore di questa o di quest’altra materia, insegna in questa o quest’altra università e/o istituzione culturale, scrive su questa o quest’altra rivista, e se è un intellettuale lo è sempre e solo in e attraverso quell’insegnamento o quella pratica di scrittura. Nessuno può definirsi intellettuale e nessuno fa il lavoro dell’intellettuale, e per fortuna, visto che non a caso il termine assume spesso il significato di “astratto”, “fumoso”, “inutile”.
In quel magnifico testo che è Lezione (Einaudi 1981) Roland Barthes scrive: «L’“innocenza” moderna parla del potere come se esso fosse uno solo e indivisibile (...) E se invece il potere, come i demoni, fosse plurimo? Esso potrebbe allora dire: “Il mio nome è Legione”; ovunque, in ogni dove, vi sono capi, centri di potere, siano questi imponenti o minuscoli, gruppi di oppressione o di pressione; ovunque si odono voci “autorizzate”, che si autorizzano a farsi portavoce del discorso di ogni potere: il discorso dell’arroganza (...) Certuni si aspettano che noi intellettuali ci si mobiliti a ogni occasione contro il Potere; ma la nostra vera battaglia è altrove; essa si svolge contro i poteri, e non si tratta di una battaglia facile».
Non si sarebbe potuto dire meglio; ecco un testo, tra molti altri, che attende solo di essere letto, riletto e magari anche meditato. In effetti l’intellettuale, se e quando è tale, non contribuisce alla vita culturale di un Paese quando va in televisione o quanto marcia alla testa di un corteo o quando firma un manifesto in difesa di questa o quest’altra minoranza, ma quando lotta contro la “microfisica del potere” in quei luoghi feriali costituiti da un’aula universitaria (lezione) o da una sala in un centro culturale alla periferia di una città (conferenza). È nel modo di parlare, di insegnare e scrivere, ogni giorno e non solo alla domenica, in “ogni dove” e soprattutto al di fuori di ogni visibilità mediatica, che un intellettuale lotta contro il “discorso dell’arroganza” e gli infiniti capi e capetti che affollano le nostre giornate, dimostrandosi proprio per questa ragione, quasi sempre suo malgrado e in verità senza minimamente volerlo, un autentico intellettuale.
C’è della grossolanità nel concepirsi un “intellettuale” e nel rivendicare con insistenza il valore del proprio contributo che si è pronti, fin troppo pronti, ad offrire; un vero intellettuale non attende il consenso dei media e non cerca il riconoscimento del “grande pubblico” per dimostrarsi ed essere tale, anche perché egli non sente la necessità di tradurre o di divulgare un sapere che non ha alcun bisogno di essere attualizzato.
In una delle sue ultime interviste Derrida affermava: «Se ci si vuole interessare agli “intellettuali“, non bisogna limitarsi a chiedere loro dei rapporti inutili, ma è necessario anche leggerli, tenendone conto. Inoltre - sto sognando - qualche volta bisognerebbe pure partecipare ai loro seminari, ascoltando ciò di cui in essi si tratta!». Anche in questo caso, non si sarebbe potuto essere più chiari; ecco, dunque, un altro testo - siamo nel 2004 - che attende solo di essere letto, riletto e magari anche meditato. Diciamo la verità: occuparsi degli intellettuali non è un dovere morale; si può vivere benissimo anche senza interrogarsi sul “ruolo degli intellettuali”, e infatti la maggior parte delle persone non si alza certo al mattino con questa preoccupazione (lo ripeto: per fortuna). Tuttavia, se è proprio di questo che ci si vuole occupare, allora non bisogna far altro che leggere ciò che è scritto, che è già stato scritto, interessandosi a ciò che non pochi studiosi, con serietà e dedizione, continuano a pensare e a rendere a tutti disponibile attraverso quelle che non a caso si chiamano “pubblicazioni”. Leggere, ascoltare, confrontarsi, partecipare, riflettere; Derrida aveva ragione: «ma qui si sta sognando!».
* docente di Antropologia filosofica alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, campus di Milano
Secondo contributo di una serie di articoli dedicati al ruolo degli intellettuali