La professoressa Laura Zanfrini è la coordinatrice della ricerca multidisciplinare Migrazioni e Appartenenze Religiose che ha coinvolto una trentina di ricercatori – tra sociologi, filosofi, psicologi, giuristi, politologi, teologi – impegnati per un triennio. Un lavoro che ha l’obiettivo di restituire il giusto “spazio” alla dimensione religiosa nella comprensione e nella governance della mobilità umana e della convivenza interetnica e i cui risultati sono raccolti in un volume di oltre 800 pagine pubblicato in inglese da Brill (Migrants and Religion: Paths, Issues, and Lenses) e disponibile in open access. L’uscita del volume è coincisa con l’apertura della discussione in seno alla Commissione Ue della riforma dell’Accordo di Dublino. Pubblichiamo il commento della professoressa Zanfrini, ripreso dall’Huffington post
di Laura Zanfrini *
Che si torni a mettere a tema la riforma del regolamento di Dublino è una buona notizia. Non fosse altro perché significa ribadire la volontà dell’Unione europea di presidiare una questione da anni incagliata tra egoismi nazionali e rimpalli di responsabilità.
La proposta di cui si discute in questi giorni sembra però ribadire i limiti dell’approccio europeo, piuttosto che delineare un “modo nuovo” di gestire l’immigrazione “nel rispetto dei nostri valori”, come l’ha presentata Ursula Von der Leyen. La logica di fondo, infatti, è ancora una volta quella di distribuire tra gli Stati membri i “costi” – dell’accoglienza e addirittura dei rimpatri –, non di condividere le responsabilità nel governare una questione epocale. Così come, ancora una volta, in sintonia con l’imperante paradigma tecnocratico, la soluzione è ricercata nel ridisegno delle procedure, non nel confronto sui valori e i principi etici che devono governare una materia così delicata e che davvero rappresenta una sfida per la società europea e la sua identità più profonda. Quell’identità cristallizzata nei principi della dignità di ogni persona e della solidarietà istituzionalizzata che si esprime attraverso la protezione innanzitutto dei più vulnerabili.
A dispetto di quanto auspicato dalla stessa Commissione europea nel suo Approccio Globale su Migrazione e Mobilità (2011), le politiche finiscono, in questo modo, per focalizzarsi ancora una volta sul governo dei flussi – o più precisamente sul loro contenimento – non sulle persone e sul tentativo di offrire risposte ai loro problemi e alle loro aspirazioni.
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* docente di Sociologia delle migrazioni e della convivenza interetnica, facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore