di Marta Visioli *

Ritornare Terra Santa è stata un’esperienza completamente nuova. Nel 2013 l’avevo visitata con un pellegrinaggio, ma ero stata a Gerusalemme. Vivere nei territori palestinesi, a Betlemme per la precisione, è stato come trovarsi in un altro mondo rispetto alla città della Pace.

Ho toccato con mano cosa significa vivere dentro un muro, sotto il controllo perenne dei soldati israeliani; ho capito davvero cosa sia avere la fortuna di essere liberi; mi sono emozionata per i racconti di giovani palestinesi che non possono scegliere il loro futuro. Una ragazza palestinese di ventun anni, mia coetanea, conosciuta in un bus di linea mi ha detto: «Io vivo a Gerusalemme, ma essendo Palestinese non posso frequentare l’università israeliana. Ogni mattina devo passare il check point e oltrepassare il muro per andare all’università di Betlemme. Se devo dare un esame all’università il mio primo pensiero non è l’esame ma è riuscire ad arrivare dall’altra parte del muro anche quel giorno. Poi semmai si penserà all’esame». Dopodiché ha aggiunto: «Ma voi in Italia sapete come viviamo?». Io ho risposto che non immaginavo che la situazione fosse così difficile.

Solo andando sul posto e vivendo con loro ci si rende conto di quello che subiscono. Nonostante tutto, non mancano di accoglienza e calore umano. Gli anziani dell’Istituto Antoniano, i bimbi del campo profughi di Aida, i bimbi disabili del centro di accoglienza Hogar Ninos e soprattutto i bimbi sordomuti di Effetà sono vivaci e pieni di affetto. Cercano, in particolare questi ultimi, un punto di riferimento in noi volontari. Mi sono sentita invasa dal loro affetto e responsabile nei loro confronti. Responsabile di dare loro l’amore di cui avevano tanto bisogno.

Mentre scrivo mi commuovo al ricordo di questa esperienza così intensa e così completa. Ripenso ai sorrisi dati e ricevuti, alle carezze, agli abbracci senza fine e ai baci. Risento la melodia del Muezzin che accompagnava le nostre giornate. Rivedo tutti gli sguardi incrociati, dei bimbi così come dei passanti: sguardi curiosi, dolci, spaventati, bisognosi, indagatori, sorpresi. Pochi sono stati gli sguardi speranzosi che ho incontrato, tra cui quello della fantastica suor Donatella del Caritas Baby Hospital. «La situazione politica e conflittuale è quasi impossibile da cambiare, ma nella società, nelle persone, inizio a intravedere dei piccoli cambiamenti, delle aperture. Poco a poco. Piano piano» ci ha detto. E questo è l’importante: che pur essendo pochi, ci siano ancora sguardi di speranza.

* 21 anni, di Carate Brianza, terzo anno laurea triennale in Scienze linguistiche e letterature straniere, curriculum: lingue e letterature straniere, facoltà di Scienze linguistiche, campus di Milano