Da sempre gli italiani si sono distinti nell’impegno per l’evangelizzazione nel mondo dimostrando grande capacità di universalizzazione. Basti pensare a figure come quelle di Matteo Ricci per la Cina o di Roberto de Nobili per l’India.
Ha preso spunto da questa considerazione la prolusione che il cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, ha svolto sabato 3 ottobre al Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano (Pime) nell’ambito del convegno Un’altra Cina. Tempo di crisi, tempo di cambiamento, organizzato a chiusura delle celebrazioni per i 150 anni dall’arrivo dei primi missionari del Pime nella Cina continentale, e al quale ha presenziato anche monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica.
Il cardinale ha fatto memoria di questa storia, citando le tappe più importanti e i nomi dei tanti martiri, interrogandosi sul suo significato più profondo, «anche perché non è un cammino concluso: la Cina ha ancora bisogno del Pime».
Analizzando la situazione attuale, il Segretario di Stato è andato subito al cuore del problema: la nomina dei vescovi che, dopo alterne e dolorose vicende, ha portato alla piena comunione di tutti i pastori cinesi con il Papa, raggiunta nel settembre 2018 grazie all’Accordo sottoscritto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese. Lo stesso Pontefice ha sottolineato l’importanza di tale accordo perché le nomine episcopali sono fondamentali per «sostenere e promuovere l’annuncio del Vangelo in Cina».
Il cardinal Parolin ha affermato che «malgrado tanti travagli e tanti limiti, nella sostanza più profonda, la sfida è stata superata: oggi, in Cina, pur con tutti i suoi problemi e le sue difficoltà, la Chiesa cattolica c’è. Dopo la partenza degli ultimi missionari nel 1954 non è nata in Cina una Chiesa del silenzio, espressione peraltro che Giovanni Paolo II non amava. Non è infatti una Chiesa del silenzio quella che - fra tanti ostacoli - continua ad annunciare il Vangelo. Negli ultimi settant’anni, molte battaglie difficili sono state perse e, talvolta, sono state perse anche battaglie che si sarebbero potute vincere se ci fosse stata un po’ più di buona volontà».
Ma, ha proseguito, il presule, «è stata vinta la battaglia più importante: fidem servare. Merito dei cattolici cinesi, indubbiamente, aiutati dalla grazia di Dio. Ma merito anche dei missionari per l’azione da loro svolta finché hanno potuto restare a costo di molti sacrifici e perché gli effetti della loro opera formativa hanno continuato ad agire anche dopo la loro partenza».
A tal proposito il cardinal Parolin ha offerto alcune indicazioni operative, collocando il lavoro dei missionari in un contesto storico di dialogo che lo rende parzialmente diverso dal passato. Infatti «la pesante situazione di malintesi e di incomprensioni del passato non ha giovato né alle Autorità cinesi né alla Chiesa cattolica in Cina», e ha auspicato l’apertura di un dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, «si possa lavorare insieme per il bene del popolo cinese e per la pace nel mondo».
Sempre in riferimento all’Accordo del 2018 il cardinal Parolin ha detto che sono sorti alcuni fraintendimenti, derivanti dal fatto che ad esso vengono attribuiti obiettivi o collegamenti con questioni politiche che nulla hanno a che fare con l’Accordo. Su questo punto il cardinale è stato molto chiaro: «Ricordo ancora una volta – e in questo caso la Santa Sede non ha mai lasciato spazio a equivoci o confusioni – che l’Accordo del 22 settembre 2018 concerne esclusivamente la nomina dei vescovi. Sono consapevole dell’esistenza di molti altri problemi riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina. Ma non è stato possibile affrontarli tutti insieme e sappiamo che il cammino per una piena normalizzazione sarà ancora lungo».
Infatti, «la Santa Sede ha ripetutamente sottolineato che l’obiettivo dell’Accordo è anzitutto ecclesiale e pastorale, cioè aiutare le Chiese locali affinché godano condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modo tale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società».
In tal senso esso costituisce solo un «punto di partenza» anche se c’è la volontà a prolungarlo «ad experimentum come è stato finora, in modo da verificarne l’utilità», soprattutto in un periodo storico dove si stanno sperimentando «tante tensioni a livello mondiale».
Sugli aspetti geopolitici, economici, sociali e pastorali del “gigante” asiatico anche alla luce dell’emergenza-Coronavirus, vi sono stati altri interventi, tra cui quello della ricercatrice e docente di Marketing dell’Università Cattolica Lala Hu, dal titolo “I ‘nuovi cinesi’ d’Italia, giovani tra due mondi”, dedicato all’alta scolarizzazione dei cinesi in Italia e alla grande presenza di donne imprenditrici. In particolare, la ricercatrice si è soffermata sul maggior coinvolgimento della comunità cinese nella vita della città, rispetto al passato in cui era più chiusa e meno visibile, che si è manifestato in modo evidente in occasione dell’emergenza Covid grazie alle tante azioni di solidarietà verso la città, come la fornitura di mascherine. Tra i relatori al convegno, anche Filippo Fasulo, direttore Centro Studi per l’Impresa – CeSIF Fondazione Italia-Cina, Lisa Jucca, editorialista di Reuters Breakingviews, dal 2014 al 2017 a Hong Kong e alumna Cattolica, e Gianni Criveller, sinologo e missionario del Pime.