Il professor Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea nella facoltà di Lettere e Filosofia, affronta sul quotidiano “Avvenire” le tensioni tra Stati Uniti e Cina e la minaccia di “una nuova guerra fredda” tra le due potenze. Pubblichiamo la parte iniziale dell’articolo


di Agostino Giovagnoli

Una “nuova guerra fredda” tra Stati Uniti d’America e Cina. Fa paura anche solo evocarla. Purtroppo, però, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ne ha parlato apertamente e a Washington se ne discute da tempo. Dopo il Covid–19 il conflitto si è aggravato. Ora un documento riservato sulla strategia americana nel mondo definisce la Cina «principale nemico degli Stati Uniti», più della Russia e di chiunque altro, verso cui adottare un «approccio competitivo».
Ciò non significa necessariamente la guerra – e che si senta il bisogno di precisarlo è un altro segno inquietante –, ma impone nei confronti della Cina quattro priorità: «Proteggere il popolo americano, la patria e il nostro modo di vivere; promuovere la prosperità americana; preservare la pace attraverso la forza; accrescere l’influenza americana». Insomma, la Repubblica popolare cinese viene sfidata sul terreno dell’economia, dei valori e della sicurezza.

Il documento segna l’abbandono definitivo della linea americana, avviata dalla missione Kissinger in Cina del 1971, che ha aiutato questo Paese a uscire dalla “rivoluzione culturale” e favorito la stagione di “riforme e apertura” di Deng Xiaoping. Contrariamente a molte aspettative, il capitalismo non ha portato in Cina la democrazia occidentale. Ma l’impegno americano per coinvolgerla nella cooperazione internazionale ha prodotto risultati importanti sul piano dei rapporti tra i popoli e delle relazioni interculturali, fatto che, in prospettiva storica, conta più di tutti gli altri. Tale impegno ha suscitato un inedito mito americano in Cina – anche i figli della nomenklatura comunista cinese vanno a studiare negli Usa – e creato un originale universo sino–americano (quello raccontato nel film “The farewell. Una bugia buona”). Gli Stati Uniti, insomma, hanno saputo avvicinare Oriente e Occidente come mai in precedenza. Con una politica che seguiva un disegno e di cui ha beneficiato il mondo intero. Ma, improvvisamente, i vertici americani hanno rimosso tutto questo, decidendo che contavano solo la crescita economica cinese, il quasi monopolio di Huawei sul 5G, i successi nel campo dell’intelligenza artificiale ecc. Hanno stabilito che la Cina è andata troppo avanti, che è diventata troppo pericolosa e che va fermata. E così hanno accantonato ciò che di buono avevano fatto in precedenza, per scegliere la via dello scontro.

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