Il ristorante "Dal Pescatore" si trova in immerso in una riserva naturale, dentro un villaggio di 36 abitanti. Tra i fornelli in cui si realizzano magie culinarie da 3 stelle Michelin, c’è Giovanni Santini, Chef de l'avenir secondo l’Académie internationale de la Gastronomie, che ha preso la passione per i tortelli da nonna Bruna.
Dopo la laurea in Scienze e tecnologie alimentari all’Università Cattolica, mosso da un’innata passione, Giovanni ha saputo guadagnarsi un posto d’onore nella cucina del ristorante di Canneto sull'Oglio, “luogo sacro” della grande cucina italiana, una cucina dell’essenziale, capace di valorizzare i migliori prodotti della natura. Lo abbiamo intervistato per provare a carpire qualche segreto da riproporre sulle nostre tavole.
Santini, parlando di alta cucina, qual è il legame tra tradizione e innovazione? E come in questa sua visione hanno influito gli anni trascorsi nelle aule della Cattolica? «Tradizione e innovazione sono strettamente legate, l'unica discriminante il fattore tempo; se consideriamo, semplificando, la tradizione come l'insieme delle innovazioni che hanno avuto successo, è innegabile che queste ultime devono avere il tempo di sedimentare e di entrare nel tessuto sociale per essere riconosciute universalmente come identitarie di una cultura. In questo contesto vedo un grande rischio per la nostra società, quello di voler procedere per innovazioni senza lasciare nessuna traccia dietro di sé. L'Università Cattolica, sin dal primo giorno, mi ha dato la percezione della centralità dell'uomo, una percezione che è diventata via via spirito guida per ogni mia riflessione».
Come ha vissuto questa fase di emergenza e che prospettive vede per il futuro della ristorazione? «Domenica 8 Marzo ci siamo fermati e da allora si sono alternati momenti di smarrimento, di paura e anche angoscia; l'uomo si è visto molto piccolo di fronte alla grandezza della natura. La campagna nel suo silenzio mi ha indicato la via, mi ha consigliato di riflettere, di guardare il percorso che si era fatto ed eventualmente pensare a quali cambiamenti si potevano mettere in atto. Ho avuto la percezione che eravamo (lo siamo tuttora) al cospetto di una grande lezione e dovevamo coglierne l'insegnamento più profondo; la mia generazione ha il dovere di provare a sviluppare dei modelli assolutamente riconoscibili e distintivi di una cultura, che attraverso il valore e la verità propongano unicità».
Quanto conta il legame con la terra e con le materie prime nell’arte di uno chef stellato? «Io sono profondamente un uomo di campagna che ama la semplicità e la concretezza e conosce, grazie alla mia famiglia e all'Università, il senso di sacrificio, figlio della metafora della semina e della raccolta; tutti gli sforzi che metteremo in atto per creare quell'unicità di cui parlavo non potranno prescindere dai frutti della terra, perché sarà attraverso di loro che saremo riconoscibili».
In merito al tema della sostenibilità, come si è evoluta la proposta del vostro ristorante? «L'attenzione non è mai mancata, sin dal 1926. Oggi però siamo chiamati a proporre una sostenibilità visibile e concretamente dimostrabile. Tutto sarà sempre legato alla nostra terra, ci impegneremo al massimo per creare un modello sostenibile che identifichi la storia di una famiglia, ma anche la visione che abbiamo del mondo».
Com’è nata la scelta di studiare in Cattolica? E che skills le ha fornito questo percorso che ritiene utile per l’attività che svolge oggi? «Alla maggiore età potevo scegliere se partire per stage prestigiosi grazie alle telefonate di papà e mamma o seguire una strada diversa, nel mondo della ristorazione insolita; a distanza di anni, quel bivio ha cambiato la mia vita, ne avevo la sensazione allora, ne ho la certezza adesso. L'università mi ha insegnato il metodo per affrontare la vita, metaforicamente parlando mi ha insegnato a creare le chiavi per aprire le porte che via via si possono presentare di fronte».
Quali sono gli ingredienti per realizzare le proprie ambizioni? «Ho sempre pensato, e oggi ancora di più, che nella vita ognuno di noi possa avere ambizioni che lo portano a guardare in alto e quindi a sognare, in basso e quindi a cercare concretezza e profondità, ma talvolta anche dentro di sé, come a voler trovare il proprio senso delle cose; ecco, in prima battuta dobbiamo imparare ad ascoltarci e a capire cosa conta davvero per noi, quale obbiettivo raggiunto possa racchiudere il nostro percorso di vita e forse anche il suo senso. Passione, perseveranza e pazienza sono doti fondamentali; competenza, professionalità, esperienza sono ingredienti importanti; la verità è il faro».