Pubblichiamo l’articolo della professoressa Maria Bocci sulle origini dell’Università Cattolica in occasione della ricorrenza dei 60 anni dalla morte del fondatore dell’Ateneo, padre Agostino Gemelli, avvenuta il 15 luglio 1959

di Maria Bocci *

Se si guarda alle origini dell’Università Cattolica si rimane impressionati dalla temperie storica in cui è stata fondata. Quello di inizio Novecento si era presentato come un mondo «nuovo», con tutto un suo fascino capace di accendere mille speranze e tante illusioni. Dopo la terribile Grande Guerra, tuttavia, era impossibile fare previsioni rosee e sarebbe stato facile abbandonarsi al pessimismo. 

Il gruppo di amici che da tempo si stava adoperando per creare l’ateneo dei cattolici italiani ora si muoveva su un terreno pieno di incognite, in uno dei periodi più ardui della storia nazionale. E ne aveva coscienza: «Pensare alla coltura superiore mentre l’Italia nostra è in preda a convulsioni, mentre imperversa una bufera che potrà forse tutto sommergere, può sembrare iniziativa di gente che vive fuori dal mondo, non a contatto con la tremenda realtà dell’oggi!». Queste parole sono del Comitato promotore dell’Università Cattolica e risalgono al 1920, l’anno precedente alla fondazione dell’Ateneo. Insieme ai fatti, testimoniano una vera e propria «audacia cristiana», che suona come una sfida sino ad oggi, forse perché il secolo che ci tocca di vivere si è aperto con un groviglio di problemi la cui portata rischia di non essere meno impegnativa.

Anche cent’anni fa, in ogni caso, non si era affatto nel migliore dei mondi possibili. Ecco come proseguiva il Comitato promotore della Cattolica: «Noi vediamo oggi le masse organizzarsi e seguire i dettami di pochi sconsigliati che le sospingono alla rivolta, all’odio, alla irreligiosità ed alla rovina. E queste masse, male dirette, sfuggono agli stessi che le dirigono e vanno oltre e contro le direttive loro. È necessario adunque che l’Università faccia opera di rinnovazione nel campo sociale. Mancano oggidì le dottrine e mancano i dirigenti per la risoluzione degli urgenti problemi sociali che travolgono il nostro paese». 

Il riferimento, naturalmente, era alle tensioni del «biennio rosso», alla crisi dell’Italia liberale e al montare della marea fascista, che faceva uso di illegalità e violenza a spese delle organizzazioni sindacali, cooperativistiche e mutualistiche sia socialiste, sia cattoliche. Non per questo il gruppo guidato da padre Agostino Gemelli sceglieva di isolarsi. Semmai cercava nuove vie per assicurare la presenza civile dei cattolici e per rinnovare la cultura cattolica italiana, mettendola a contatto con i più moderni ritrovati della scienza e della tecnica. L’opzione, infatti, non era quella di ritirarsi in luoghi appartati, lontani da un mondo che sembrava sull’orlo dell’abisso, magari per mettere in sicurezza quelli che allora si definivano gli «interessi cattolici». Per il gruppo di padre Gemelli le tante emergenze dell’epoca andavano invece incanalate in un «disegno superiore», che offrisse alla nazione prospettive di sviluppo non contradditorie con una vita migliore per tutti, a cominciare dalle fasce più deboli della popolazione.

L’Università Cattolica, che oggi sta per toccare il traguardo del centenario, non è dunque nata come ambito riparato dalle insidie del secolo, per preservare le intelligenze cattoliche dai contagi della cultura laica. Padre Gemelli intendeva rafforzare con fondamenta scientifiche il magistero sociale della Chiesa e le stesse capacità progettuali del cattolicesimo italiano, puntando non sull’immediatezza della lotta politica – come il partito di don Sturzo – ma sui tempi lunghi. Credeva, infatti, che all’operosità cattolica mancasse un sostrato di conoscenze rigoroso e verificato, quel sostrato che per lui, abituato a confrontarsi con l’analisi sperimentale, era indispensabile a un impegno dei cattolici che non soffrisse di pressapochismo. Per Gemelli era insomma necessaria una Università-laboratorio, vale a dire uno spazio libero dal monopolio statale ma dotato di un profilo pubblico e nazionale, che sapesse incidere sullo sviluppo del Paese dedicandosi alla ricerca scientifica e alla formazione dei giovani ed elaborando strumenti conoscitivi all’avanguardia, senza farsi condizionare dagli esiti più infausti del progresso.

Al di là delle considerazioni che si potrebbero fare sulla storia dell’Università Cattolica e sui risultati del progetto culturale che l’ha originata, si deve riconoscere a padre Gemelli la capacità di incidere sul proprio tempo. A noi tocca, però, non dare per scontate le potenzialità che sono inscritte in questa storia e che, inevitabilmente, devono fare i conti con i cambiamenti in atto. Proporre ai giovani in maniera leale una certa impostazione culturale può rivelarsi un elemento di forza in un contesto che sembra alla ricerca di interlocutori credibili, dal punto di vista culturale non meno che da quello umano. E tuttavia avere una storia importante da ricordare non significa poter vivere di rendita. Come ha ricordato Benedetto XVI nella Spe salvi, «la libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio».

* docente di Storia del mondo contemporaneo alla facoltà di Scienze della formazione, direttrice del dipartimento di Storia dell’economia, della società e di Scienze del territorio «Mario Romani»