Continua il dibattito aperto dall’articolo dal titolo “Arrivano i robot”, dedicato a come l’intelligenza artificiale sta cambiando noi e il nostro modo di vivere e di pensare

di Giuseppe Riva *

Negli ultimi mesi sono arrivati sul mercato una serie di robot antropomorfi (di forma umana) di nuova generazione che non si limitano a eseguire compiti, ma sono in grado di attivare interazioni e relazioni sociali con altri robot e con soggetti umani. Per questo vengono anche definiti “robot socialmente assistivi” (Socially Assistive Robots - SARs) e incominciano a essere utilizzati per interagire socialmente con le persone, aiutandole anche nella gestione del loro benessere fisico e psicologico. La loro crescente diffusione ha aperto un nuovo filone di ricerca – la Psico-Robotica - il cui principale obiettivo è la comprensione delle dinamiche di interazione sociale generate dall’incontro tra robot e umani, sia dal punto di vista delle caratteristiche dell’interazione, sia da quello della sua progettazione. 

Una recente review  ha analizzato in dettaglio 12 studi che hanno utilizzato i robot sociali per fornire conforto e compagnia a diverse categorie di soggetti deboli: da anziani con demenza a pazienti psichiatrici. I risultati emersi sono molto interessanti. In generale, l’impatto degli interventi e delle interazioni sociali andavano da generalmente positivi a misti, con un miglioramento dell'umore, del comfort e una riduzione dello stress dopo l’interazione con i robot sociali. In pratica, i robot sociali erano in grado di generare vere e proprie forme di attaccamento da parte degli umani coinvolti nelle interazioni simili a quelle prodotte da animali domestici. Allo stesso tempo, però, la review ha evidenziato anche delle emozioni negative legate all’interazione con i robot.  In particolare, negli studi con popolazioni di soggetti anziani, molti soggetti hanno sperimentato aggressività, ansia e depressione dopo l’interazione con i robot sociali. 

Come racconta un’altra recente review che ha analizzato 17 studi in cui i robot sociali sono stati utilizzati nella cura dell’anziano, utilizzare questi robot quotidianamente come delle badanti tecnologiche non è facile e richiede la capacità dell’anziano di comprendere pienamente le opportunità e i limiti dei robot sociali. Perché?  Una possibile spiegazione viene dal fenomeno dell’«Uncanny Valley», descritto per la prima volta dallo studioso di robotica nipponico Masahiro Mori nel 1970. Secondo Mori, la somiglianza dei robot antropomorfi al corpo e alle interazioni umane non sempre produce emozioni positive: più il robot viene considerato “umano”, maggiore è la delusione che si sperimenta quando l’interazione non è altrettanto efficace quanto quella umana. In pratica l’incapacità dei robot sociali di essere all’altezza delle aspettative dell’anziano genera un senso di rabbia e di delusione simile a quello che si prova nei confronti di un partner che ci ha tradito.  

Questi esempi mostrano chiaramente come anche un ambito strettamente tecnologico - la robotica - nel momento in cui si sposta nel dominio della comunicazione e dell’interazione sociale richieda necessariamente l’intervento delle scienze umane per comprendere i processi da riprodurre e la strategia da utilizzare.  Per questo, la strategia migliore per raggiungere tale obiettivo è la creazione di gruppi di ricerca multidisciplinare che affrontino lo studio dell'interazione uomo-robot integrando le competenze di più discipline.

* docente di Psicologia della comunicazione e di Psicotecnologie per il benessere, facoltà di Psicologia, campus di Milano


Quindicesimo articolo di una serie dedicata a come l’intelligenza artificiale ci sta cambiando