Una profonda conoscenza del prodotto che fa rima con passione, la padronanza delle lingue straniere come passe-partout per l’ingresso in azienda e un’attenta lettura dell’evoluzione dei mercati che rende in grado di innovare rimanendo competitivi, perché essere consapevoli di qual è la metà da raggiungere rende più nitido il percorso da intraprendere.

Ne è un esempio la storia, umana e professionale, di Giacomo Marzoli, laureato in Esperto linguistico d’impresa alla facoltà di Scienze linguistiche della sede bresciana, e oggi Responsabile Marketing in Harley-Davidson Italia
Una carriera lunga 15 anni presso il colosso con base a Milwaukee (USA), iniziata nel 2005 grazie allo stage curricolare previsto al terzo anno della laurea triennale, che lo ha portato due anni dopo a ricoprire il ruolo di District Manager, nel 2009 quello di Customer Experience Manager e dal 2013 quello Regional Consumer Experience Spain, Portugal & Italy.

Partiamo dall’inizio, ovvero dal fatto che il tuo percorso in azienda ha avuto inizio ai tempi in cui eri uno studente universitario, grazie ad uno stage curricolare … «Esatto, e vanto primato: sono stato il primo stagista della sede di Harley-Davidson a Milano. All’epoca la struttura dell’azienda era molto diversa, la filiale italiana contava solo poco più di venti persone, feci domanda per effettuare uno stage e non accettarono la mia proposta perché non era tra le loro consuetudini avere stagisti in azienda. Non mi persi d’animo: sulle riviste dedicate alle due ruote leggevo le interviste rilasciate dal direttore di sede, trovai il suo contatto e insistetti scrivendo direttamente a lui. Mi rispose ed io finalmente iniziai il mio stage il giorno di San Valentino del 2005, otto ore al giorno per due mesi. Ricordo che pensai “questo è il mio treno da prendere”».

Come andò? «Volevo dare il massimo ma la condizione di pendolare iniziava a pesare, così trovai una sistemazione lavorativa al Centro Salesiano di Arese, una comunità residenziale per persone in difficoltà. La struttura cercava un portinaio notturno e in cambio davano vitto e alloggio, così mi ritrovai a fare il portinaio di notte e lo stagista in Harley-Davidson di giorno. Allo scadere dei due mesi stavo lavorando ad un’analisi benchmark sulla nostra rete di vendita, così - con mia grande gioia - mi fu prolungato il contratto di stage per altri due mesi, al termine dei quali il direttore mi disse: “Grazie. Ora i casi sono due: o ci salutiamo oppure ti assumiamo, con la promessa però che conseguirai la laurea”. Com’è andata lo potete immaginare…».

Da lì è iniziata la tua carriera. Come si è evoluto il tuo ruolo negli anni? «Inizialmente mi sono occupato di analisi delle reti di vendita, supporto all’ufficio marketing ed eventi lato customer, ovvero i classici raduni nazionali di settore, eventi e gestione della logistica con le concessionarie.
Successivamente ho fatto quattro anni nel settore commerciale in qualità di Area Manager per l’Italia orientale (Lombardia e Triveneto), per poi passare ad un ruolo che aveva più a che fare con la gestione del fattore esperienziale che proponiamo al cliente: eventi, sviluppo reti di noleggio, viaggi autorizzati, tour di clienti italiani negli Stati Uniti e, viceversa, degli americani sugli itinerari italiani. In quegli anni ero responsabile anche di Spagna e Portogallo».

Tant’è che oggi sei Marketing Manager per Harley-Davidson Italia. Cosa significa concretamente? «La mia è una figura di raccordo tra i due settori di cui mi sono occupato in precedenza, l’area commerciale - ovvero quella più improntata all’analisi della rete di vendita - e quella legata alla cura dell’esperienza del cliente, due aspetti complementari dello stesso prodotto».

Quali delle competenze acquisite sui banchi dell'Università Cattolica ti sono state utili nella tua attuale professione e quali invece sono in continua evoluzione? «Fondamentale è stato l’insegnamento approfondito delle lingue declinato al settore dell’impresa. Mi riferisco a quelle lezioni, corsi e progetti orientati al business e presenti nel curriculum in Esperto linguistico d’impresa, mi hanno permesso di apprendere un linguaggio specifico appropriato al settore che oggi, operando in una multinazionale in cui per la maggior parte del tempo parliamo inglese, è alla base del mio lavoro. Altrettanto fondamentale, ma da aggiornare continuamente, è la conoscenza del prodotto commercializzato dall’azienda. Ma quando si crede realmente nel marchio ed il lavoro fa rima con passione è un processo spontaneo. Personalmente devo credere realmente in un prodotto per riuscire a promuoverlo e commercializzarlo al meglio».
 
Hai qualche suggerimento per gli studenti che aspirano a lavorare nel tuo settore? «Consiglierei di vivere il percorso universitario come un corso di preparazione alla vita e di guardare alla laurea non come un traguardo, bensì come un punto di partenza. Sono gli anni giusti per fare esperienza, mettersi in gioco e, perché no, sbagliare per capire qual è la corretta direzione da prendere. Quello universitario è il contesto giusto per capire cosa fare e dove si vuole andare: a 20 anni si può “ricalcolare il percorso” con basso margine di rischio, mentre a 30 anni la posta in gioco si alza, le necessità cambiano».

Parole che ricalcano un po’ la tua storia… «Credo sia importante dire che non mi sono mai riconosciuto nella descrizione “studente modello” tuttavia, una volta capito che nella vita avrei voluto svolgere una professione basata sulle lingue e sul marketing, mi sono attivato per assorbire tutte le competenze e le esperienze che l’università poteva offrirmi in quei due specifici ambiti. Per me ha avuto molto più senso laurearmi con qualche mese di ritardo ma sfruttare la possibilità di fare uno stage ed esperienze professionali che, oggi posso dirlo, hanno realmente fatto la differenza nel mio percorso di apprendimento. Parlo per esperienza: durante gli anni di studio ho lavorato al bar nei fine settimana, approfondito il tedesco all’estero con le summer school all’estero e, da buon franciacortino, ho pure fatto la vendemmia. Tutto queste esperienze diverse hanno contribuito a formare il professionista che sono oggi. Impegno e sacrificio? Sono da mettere in conto. Ma quando si crede realmente in ciò che si fa, i lati positivi sono di gran lunga maggiori»