di Paolo Balduzzi *
Il quarto voto referendario costituzionale riporta gli esiti in parità: vittoria del Sì nel 2001 (“Modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione”) e nel 2020, rispettivamente con il 64% e il 70%; vittoria del No nel 2006 (cosiddetta devolution) e nel 2016 (superamento del bicameralismo perfetto), rispettivamente con il 61% e con il 59%.
Il crescente dibattito delle ultime settimane ha avuto un impatto certamente positivo sulla partecipazione. La riforma costituzionale, ora approvata definitivamente, prevede la modifica gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione: la Camera dei deputati passerà da 630 a 400 membri (nella circoscrizione estero gli eletti saranno 8, mentre oggi sono 12), mentre il Senato della Repubblica scenderà da 315 a 200 membri (il numero di eletti nella circoscrizione estero da 6 a 4). Il numero minimo di senatori per regione o provincia autonoma diminuirà da 7 a 3. Infine, il numero di senatori a vita nominati per meriti speciali sarà fissato a 5 come numero massimo assoluto: questo significa che, se ci fossero già 5 senatori a vita nominati (sono esclusi gli ex Presidenti della Repubblica), un nuovo Presidente della Repubblica non potrebbe nominarne altri. Le modifiche si applicheranno dalle prossime elezioni ma non prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore. Sarà opportuno dedicare il resto della legislatura ad adeguare normativa e regolamenti in modo tale che il nuovo Parlamento, una volta rinnovato, possa lavorare da subito al meglio.
Il voto regionale
Perfetta parità nelle elezioni regionali, in attesa di capire se ci sarà qualche sorpresa dai voti comunali: il centrosinistra conferma Toscana, Campania e Puglia; il centrodestra conferma Veneto e Liguria, strappando le Marche all’avversario. Gli exit poll avevano suggerito una battaglia molto più serrata in Puglia e Toscana ma di fatto già le prime proiezioni hanno tranquillizzato la maggioranza. Il voto regionale rinforza Toti e Zaia anche all’interno dei propri partiti e li propone come possibili leader per il prossimo futuro. La lista Toti conquista quattro volte i voti di lista di Forza Italia (22% contro 5%); la lista Zaia quasi triplica i voti di lista della Lega (45% contro 17%: di fatto, avrebbe vinto anche da solo). Performance poco entusiasmante per il Movimento 5 Stelle: solo in Puglia un candidato supera infatti il 10%; deludente il risultato di Italia Viva: il candidato renziano, in Puglia, non supera il 2%.
Molto rumore per nulla
Difficile sostenere che l’esito elettorale avrà forti ripercussioni sulla tenuta del Governo. Probabilmente, qualche aggiustamento nei rapporti di forza si avrà tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle, a favore del primo, e all’interno del centrodestra, dove la partita per la leadership è decisamente aperta tra Salvini, Meloni, e qualche outsider, a partire dai presidenti confermati Zaia e Toti. Difficile anche pensare che il Parlamento si dedichi immediatamente a nuove riforme costituzionali, anche se la vittoria del Sì darà forza a chi sostiene che se ne possono fare di ulteriori. Più probabile che ora l’attenzione si concentri sull’adeguamento della legge elettorale: qualcuno sosterrà che bastano pochi accorgimenti tecnici mentre altri, c’è da scommetterci, chiederanno una sua revisione più sostanziale. L’augurio è che invece non si perda tempo e che si adeguino al più presto i regolamenti parlamentari e l’organizzazione dei lavori delle commissioni.
* docente di Scienza delle finanze, facoltà di Economia, campus di Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore
foto in alto di Umberto Battaglia