Domenica 20 e lunedì 21 settembre gli italiani si recheranno alle urne per decidere, in concomitanza con le elezioni regionali e comunali, se confermare o meno la riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, portando i deputati alla Camera da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Si tratta di un referendum confermativo che, a differenza di quello abrogativo, non prevede il raggiungimento di un quorum di affluenza, per cui l’esito è valido indipendentemente dalla percentuale di partecipazione degli elettori. Per fare chiarezza sul tema e capirne qualcosa di più abbiamo chiesto agli esperti dell’Università Cattolica di entrare nel vivo della questione al di là delle ragioni partitiche che dividono il Paese. Il nostro speciale referendum
«Il problema che abbiamo avuto in questi anni è la progressiva perdita di incidenza e di autorevolezza territoriale da parte dei parlamentari, connessa naturalmente al declino dei partiti. Come ridare ruolo e significato al parlamentare, questo mi pare il problema vero». Renato Balduzzi, docente di Diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica, entra nel merito del dibattito in vista del referendum costituzionale, in programma domenica 20 settembre, da molti semplicemente ridotto alla mera questione di taglio dei costi della politica. «L’ormai famoso euro all’anno per ogni cittadino non mi sembra il cuore del problema. Anche se veniamo da anni di polemica, a volte giustificata, altre volte no, contro la cosiddetta casta, e quindi molti elettori voteranno sulla scia di questo rancore. Dimenticando, forse, di cercare di capire perché la “casta” abbia approvato la riduzione dei propri ranghi».
Professor Balduzzi, è necessaria la riduzione del numero dei parlamentari? «La nostra Costituzione esclude il referendum costituzionale quando la legge costituzionale è approvata in seconda votazione da ciascuna Camera con la maggioranza dei due terzi dei componenti, presupponendo in questi casi la coincidenza tra volontà parlamentare e volontà del corpo elettorale. Sulla legge di revisione tale maggioranza non c’è stata e allora la richiesta di referendum va valutata sotto il profilo della opportunità: a mio parere la campagna referendaria era opportuna per consentire all’elettore di capire le ragioni della riduzione e le sue conseguenze. Constato tuttavia una certa confusione nei messaggi proveniente dal mondo politico e dalla stessa riflessione scientifica, forse specchio dell'incertezza che ha accompagnato le votazioni su questa legge costituzionale e frutto della “solitudine” in cui la legge di revisione è venuta alla fine a trovarsi».
Cioè? «Mi spiego: mentre era chiara la ratio delle tre proposte di legge costituzionale presentate in origine (oltre alla riduzione del numero dei parlamentari, la previsione di forme di referendum propositivo e l'eliminazione del divieto di mandato imperativo), cioè una chiara e drastica presa di distanza dalla democrazia parlamentare rappresentativa, a favore della cosiddetta democrazia della rete (e pertanto l'elettore aveva davanti un quadro comprensibile e avrebbe potuto comprendere meglio le conseguenze dei singoli voti), ora le posizioni sono meno trasparenti, poiché molti sostenitori del sì dicono di farlo per rivitalizzare la democrazia parlamentare… ».
Con meno parlamentari si velocizzano gli iter legislativi? «Non ho mai pensato che il problema italiano sia la lentezza dei procedimenti legislativi. Il nostro Parlamento ha dimostrato più volte celerità, quando le condizioni politiche lo permettono, e d'altra parte continuiamo ad avere molte leggi, anche se molte sono di conversione di decreti-legge. Meno parlamentari assicureranno più qualità della legislazione? Sinceramente, non riesco a dare una risposta affermativa».
Se vince il Sì quali scenari si aprono? «Si dice che sarebbe un segnale per continuare a fare le “riforme”. Il problema è capire quali, e con quali obiettivi. La confusione di queste settimane sulla legge elettorale non aiuta a confidare sulla effettività del segnale. Ancora una volta, dobbiamo constatare che si auspicano cambiamenti costituzionali invece di affrontare i veri nodi, cioè i cambiamenti dei comportamenti del ceto politico, delle relazioni tra i partiti e dentro di essi, e, su queste basi, delle regole del “gioco” politico, cioè legge elettorale e regolamenti parlamentari. Le cronache ci raccontano, ancora in questi giorni, comportamenti riprovevoli, sotto il profilo penale ed etico, da parte di esponenti e gruppi politici».
Per lo schieramento del No il taglio dei parlamentari mette a rischio la rappresentatività territoriale. È così? «Sotto il profilo quantitativo, certamente. Sotto il profilo qualitativo, occorre chiederci quali siano gli ingredienti di una vera rappresentatività. Tra questi, penso soprattutto alla reputazione del rappresentante e alla fiducia verso di lui da parte del rappresentato. E questi ingredienti dipendono meno dal rapporto numerico tra elettori ed eletti che dal contesto politico-culturale complessivo. Piuttosto sono preoccupato per una possibile conseguenza della riduzione, che tocca un altro profilo della rappresentatività e il funzionamento pratico della vita parlamentare».
Vale a dire? «Una così incisiva riduzione comporterà la difficoltà, per i gruppi parlamentari meno numerosi, di assicurare una presenza adeguata nel lavoro di commissione, che è quello dove la discussione è maggiormente proficua e il pluralismo politico-culturale, che è il cuore della democrazia, può meglio esprimersi. Si replica a questa obiezione dicendo che basterà accorpare le commissioni e l'inconveniente si risolve. Ma, così facendo, si sposta semplicemente il problema: avremo meno specializzazione dei parlamentari, e dunque saranno più forti lobby e gruppi di pressione. Se a ciò aggiungiamo che la discussione sulla legge elettorale fa registrare convergenza su un unico punto, quello relativo a una formula elettorale proporzionale neanche troppo, sembra di capire, selettiva, la contraddizione diventa palese: avremo un numero maggiore di gruppi parlamentari e al tempo stesso meno parlamentari».