“L’educazione accade solo se c'è un luogo, per questo occorre superare le visioni parziali e approdare ad uno sguardo relazionale e sistemico che consenta a bambini e famiglie di poter disporre di luoghi specifici per diventare grandi insieme”. 

Commentano così i ricercatori che hanno raccolto l’esperienza delle strutture educative per la prima infanzia durante la fase di lockdown nell’ambito dell’indagine condotta dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica.

Svolta nel mese di aprile attraverso un ampio questionario online, la ricerca ha approfondito diverse aree tematiche e in particolare i professori Maria Letizia Bosoni, Donatella Bramanti, Flavio Merlo e Manuela Tomisich hanno analizzato le risposte delle strutture educative per la prima infanzia durante la fase di lockdown. 

All’indagine hanno risposto in prevalenza scuole paritarie (78,3%), che erogano un'offerta articolata sulle diverse fasce di età, alcune delle quali sono poli omnicompensivi: soprattutto asili nido (58,6%) e scuole dell’infanzia (75,8%), ma non mancano poli comprensivi in verticale che hanno al loro interno la scuola primaria (37,4%) e la secondaria di primo grado (26,3%), per totale complessivo di oltre 200 servizi rivolti a bambini e ragazzi da 0 a 14 anni.

Tutte le strutture al momento dell’indagine avevano sospeso la loro attività in presenza ed erano chiuse da almeno un mese. Tuttavia l’educazione non si ferma: educatori e insegnanti si sono attrezzati per attivare qualche forma di didattica a distanza, raggiungendo i genitori attraverso mail (55,3%), whatsapp/chat (47,9%) e sito internet della scuola (41,5%).

In cosa consiste questa forma di educazione - che non possiamo chiamare propriamente “didattica a distanza” nella fascia 0-6 anni? Si tratta per lo più di proposte inviate ai genitori, a cadenza pressoché giornaliera o più volte la settimana, di attività, giochi (64,5%), video con lettura di favole o canzoni (66,7%) da svolgere a casa in continuità con la programmazione didattica, ma non mancano proposte di interazione live a piccoli gruppi con i genitori e con i bambini più grandi per alimentare le relazioni. 

I media rappresentano in questo momento una preziosa risorsa, di cui però sono evidenti anche i limiti nella pratica educativa. I rispondenti, infatti, mettono in luce che se da una parte le nuove tecnologie sono un formidabile mezzo con cui è possibile mantenere il contatto con i bambini e le famiglie (49,4%), dall’altra vi sono opinioni differenziate su quanto  internet e i nuovi media da soli possano contribuire a sviluppare nei bambini competenze e conoscenze (ne sono poco convinti il 30,1% dei rispondenti e abbastanza il 47%). 

In effetti un piccolo gruppo ma significativo (20%) ritiene che la pratica educativa risulti penalizzata dall'uso di internet e dei nuovi media. In sostanza il messaggio che i professionisti dell’educazione vogliono mandarci è che l’educazione a distanza in questo momento è una grande risorsa - in verità forse è l’unica - e occorre valorizzarla al meglio ma essa non può esaurire da sola l’azione educativa che è fatta di socializzazione e di relazione con i pari e con gli adulti. I bambini infatti stanno perdendo occasioni formative importanti (ne è molto convinto il 50% delle strutture intervistate).

La situazione attuale è tuttavia vissuta con grande apprensione, sia rispetto al proprio lavoro (quasi la metà dei rispondenti è fortemente preoccupato per il proprio posto di lavoro, 39,3%) sia rispetto alla stabilità della struttura stessa (35,9%). Molte di queste, infatti, si trovano a dover fronteggiare lo scenario peggiore: l’impossibilità di riaprire. Nonostante questi timori, il 59% degli intervistati pensa che si stia facendo il massimo per supportare concretamente le famiglie sul versante sanitario.

I servizi hanno davvero dimostrato di saper fronteggiare responsabilmente la fase di emergenza, ma occorre sottolineare che se da una parte la pratica educativa a distanza risponde solo parzialmente agli obiettivi educativi, dall’altra non risponde affatto alle esigenze dei genitori su cui ricade totalmente l’onere della cura da conciliare spesso con il lavoro e che si ritrovano oggi più che mai soli, venendo meno il supporto del network parentale (in particolare i nonni).
Ne emerge una rappresentazione dei genitori soli più che mai nel compito educativo, potendo contare in questo momento soltanto sul supporto, prezioso, ma “distante”, delle strutture educative.

Infine alle strutture intervistate è stato chiesto un giudizio circa l’impatto che hanno avuto le misure adottate dal governo sulle famiglie. Se da un lato si ritiene che le famiglie stesse siano state molto responsabilizzate (le decisioni assunte dal governo hanno sostenuto abbastanza o molto le responsabilità dei membri della famiglia), dall’altro vi è però anche la percezione che esse siano state sovraccaricate di responsabilità (isolamento dalle reti parentali e amicali, lavoro a distanza, educazione dei figli…) senza tenere contro dei bisogni dei genitori stessi (per il 67,5% le decisioni assunte dal governo non hanno tenuto conto delle differenti esigenze delle famiglie). Si percepisce quindi una sorta di delega alle famiglie sui fronti sociale, educativo e professionale.

Se la fase di lockdown ha di fatto messo in stand-by il mondo della scuola, la crescita e l’educazione dei bambini non si ferma, perdendo però importanti e fondamentali momenti di interazione. Il processo di socializzazione, infatti, non avviene nel vuoto ma dentro contesti specifici e insostituibili, in famiglia e a scuola, contesti densi di relazioni significative.