Cosa c’entra l’ecologia con i media? Il Coronavirus ha arginato l’odio online? E il famoso #andràtuttobene ha funzionato anche per la comunicazione? Ha preso le mosse da questi interrogativi il WebinCatt promosso giovedì 11 giugno dalla community Alumni dell’Università Cattolica e dalla casa editrice Vita e Pensiero dal titolo: L’Italia online tra hate speech e buone pratiche. Domande che il giornalista e alumnus Luciano Ghelfi, introducendo il dibattito, ha rivolto ai relatori Fausto Colombo, professore di Teoria della comunicazione e dei media e direttore del Dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo, autore di un libro recentemente pubblicato da Vita e Pensiero intitolato proprio Ecologia dei media. Manifesto per una comunicazione gentile, e Paolo Iabichino, creativo e componente del “Gruppo di lavoro sul fenomeno dell’odio online” del Ministero all’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
«Mi occupo di media da tanti anni e ci sono sempre stati problemi nella loro gestione. Ho cominciato a scrivere questo libro perché ho avuto l’impressione che emergessero fortemente alcune grida di dolore sullo stato della comunicazione paragonabili alle denunce ambientali», ha risposto il professor Colombo. Il parallelismo con l’ambiente non è casuale per la semplice ragione che la «comunicazione se perde il controllo su se stessa muore». La comunicazione di cattiverie e di odio non incide solo su chi la riceve ma anche su chi la compie, e viene meno al suo essere risorsa preziosa che ci apre agli altri.
Eppure il fenomeno dell’hate speech sui social non accenna a diminuire. Neppure la pandemia è riuscita ad abbassarne i toni sulle varie piattaforme social. «All’inizio della quarantena, nella primissima settimana, per deformazione professionale studiavo il fenomeno dell’odio online e sembrava che l’avere un nemico comune ci facesse stare meglio e contribuisse ad abbassare la tensione narrativa», ha raccontato Iabichino. «Col tempo mi sono ricreduto. Vi ricordate la retorica “Usciremo tutti migliori da questa vicenda”, ebbene su questo non concordo. Se considero che nelle ultime ore uno dei trend topic è quello di voler togliere la statua di Indro Montanelli da un giardino pubblico di Milano c’è da preoccuparsi».
Ma perché l’odio online e le fake news sono così diffusi rispetto al passato? «La grande differenza tra i media tradizionali e le piattaforme è che i primi, se esercitavano il potere di comunicazione, lo facevano attraverso la censura, selezionando le informazioni. Le piattaforme non hanno la strategia di selezionare ma di amplificare e far girare maggiormente dal basso le opinioni. Questo vuole dire che ogni gesto di rilancio è potenziato, è come indossare un braccio cibernetico», ha osservato il professor Colombo.
Forse per questo non è facilissimo contrastarli e può essere importante il lavoro che svolgerà il gruppo di riflessione voluto dal ministro Paola Pisano. «È una questione calda e rilevante e quello che possiamo fare è indicare un percorso di studi», ha detto Iabichino. «Non credo che la politica possa fare molto se non stabilire che quell’ambientalismo di cui parla il professor Colombo nel suo libro diventi un input importante. Un ecologismo, che ci piaccia o meno, passa dalla buona educazione e dalla cultura digitale che bisogna imporre, portare nelle scuole per dare a tutti la responsabilità nell’utilizzo di questi strumenti».
E la responsabilità come buona pratica è stata ampiamente evocata dal professor Colombo, soprattutto in relazione al fatto che compito della comunicazione è legare e non dividere o attaccare. In tal senso un modello efficace di comunicazione può essere quello del presidente Mattarella «che non fa solo richiami all’unità del Paese ma usa un linguaggio in cui ci si può riconoscere». Per questo occorre ripensare una buona comunicazione che sia gentile, per dirla con il professor Colombo, richiamando l’etimologia del termine “gens”, cioè famiglia, società. Non è un appello buonista ma l’unica via da praticare per «restare umani».
Alumni