di Letizia Cordini e Monica Grazioli *
Alla ricerca del Tempo perduto è il romanzo più famoso di Marcel Proust. Ma è anche il percorso che, guidati dal professore di Letteratura francese Davide Vago, abbiamo deciso di intraprendere per visitare parte dei luoghi che hanno ispirato le ambientazioni del romanzo, partendo dal paese in cui il piccolo Marcel passava le vacanze estive a casa della zia: Illiers, nome oggi modificatosi in Illiers-Combray in onore del nome fittizio datogli da Proust nella sua opera
È proprio nel primo tomo della sua opera, Du côté de chez Swann, che il narratore rievoca il consueto arrivo in treno a Combray, per passare le vacanze a casa della zia Léonie. Anche noi abbiamo ripercorso i passi del narratore e abbiamo raggiunto in treno prima Parigi, poi Chartres e infine Combray cercando di discernere la realtà dalle fantasticherie del protagonista. Infatti, Proust descrive il villaggio attraverso diverse metafore suggestive, legate tra di loro da un fil rouge unico: il tempo che passa; il modo per recuperarlo e per fissarlo per sempre passa attraverso la scrittura.
La prima cosa che si scorge, arrivando, è il campanile Saint-Hilaire, punto di riferimento spazio-temporale ed emblema del passare del tempo. Il protagonista lo paragona, quando illuminato dalla calda luce del sole, a un gigantesco panino appena sfornato. Accanto al campanile, la chiesa, altro luogo emblematico del romanzo. La chiesa e la cattedrale sono due elementi fondamentali in Proust, perché entrambe portano i segni del tempo che passa e che corrode anche la pietra. Le vetrate della chiesa non sono le stesse descritte nel romanzo, raffiguranti gli antenati della famiglia Guermantes. Anche qui la guerra e gli eventi storici hanno cambiato la fisionomia del luogo lasciando un segno indelebile dello scorrere inesorabile del tempo. Tuttavia, concordiamo con lo scrittore sul fatto che in una chiesa si cammini letteralmente “sul tempo”: infatti, come spiega nel testo, il pavimento è ricoperto quasi interamente da lastre in pietra con delle iscrizioni ormai illeggibili.
Camminando lungo le navate della chiesa, abbiamo provato la sensazione che i nostri piedi fluttuassero in equilibrio tra presente e passato, mentre cercavamo di leggere quelle incisioni a noi quasi incomprensibili, quei nomi di persone che mai conosceremo.
Ma il luogo più importante di Combray, che ha un valore sentimentale e simbolico non indifferente è la casa della zia Léonie. La casa della famiglia Amiot (famiglia della sorella del padre di Marcel Proust) è il modello da cui l’autore prende spunto per costruire la casa di zia Léonie. Qui, Marcel Proust passa le vacanze con la famiglia fino al 1880, quando, per problemi di asma, gli viene impedito di andare in campagna.
Arrivati in rue du Dr Proust 4, ci troviamo davanti a un piccolo cancello nascosto tra i cespugli, sul quale pende il famoso campanello per gli ospiti che il signor Charles Swann suonava quando andava a visitare la famiglia del piccolo narratore. Entrati dal cancello, ci si ritrova nel giardino, luogo prediletto della nonna del piccolo protagonista. Questo era anche il luogo in cui la famiglia accoglieva gli ospiti nelle belle giornate. Dal giardino si entra in casa e le prime stanze che si trovano sono la bella cucina di fine Ottocento, e la sala da pranzo, dove la famiglia si riuniva per mangiare e dove il narratore si sedeva per leggere e scrivere.
Saliti al secondo piano, ecco le camere, luogo proustiano per eccellenza, causa di gioie e dolori: sono il luogo della scoperta del piacere e dell’intimità, ma anche del dramma, della gelosia e della malattia (la zia sarà costretta a letto perché convinta di essere molto malata, e anche Proust passerà parte della propria vita a letto a causa dell’asma).
L’associazione “Les Amis de Proust”, che gestisce la proprietà, ha ricostruito pressoché fedelmente le stanze descritte nel romanzo, a partire proprio da quella del narratore: un piccolo letto con accanto un comodino, sul quale riposa, ormai inutilizzata da tempo, la “lanterna magica”. Si tratta dell’antenato del moderno proiettore, e veniva usata per distrarre il bambino dal dramma causato dal pensiero di dover andare a letto senza la madre.
In una teca si può ammirare “uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano Petites Madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una “cappasanta””. Il dolcetto ricorda davvero una conchiglia (Illiers-Combray è una tappa storica dei pellegrini diretti a Santiago di Compostela), e guardandolo viene spontaneo immaginare un vortice di ricordi fuoriuscire dalla tazza di cioè posata a fianco.
Anche la camera della zia è stata ricostruita nel dettaglio ed entrando possiamo immaginare di essere il piccolo narratore che, la domenica mattina, entra per augurare il buongiorno alla zia ormai costretta a letto. All’ingresso veniamo accolti dall’inginocchiatoio, segno della profonda devozione di zia Léonie. Il letto della donna è posto rigorosamente sotto la finestra che guarda sulla piazza, unico contatto che l’anziana ha con il mondo. È qui che il protagonista era solito mangiare la madeleine inzuppata nell’infuso.
Per ultimo, ma non per importanza, abbiamo deciso di ripercorrere la “promenade du côté de chez Swann” (la passeggiata dal lato di Swann). Parte della proprietà di Swann era costituita da un grazioso giardino, chiamato nella realtà “Pré Catelan”. Creato da Jules Amiot, zio paterno di Proust, il piccolo parco racchiude esemplari unici di piante e fiori, e noi abbiamo avuto il privilegio di assaporare in prima persona la sensazione di camminare tra le sponde del fiume Loir (nel romanzo, la Vivonne), tra gli stagni incantati coperti di ninfee e i famosi biancospini. È proprio lungo i sentieri del giardino, caratterizzato da atmosfere romantiche e da un gusto neo-orientale datogli dalle particolari strutture architettoniche che lo decorano (ponti, torrette, ecc..), che il narratore ormai adolescente incontra Gilberte Swann, suo primo amore.
A conclusione di un corso di Letteratura abbiamo potuto unire l’utile al dilettevole. Marcel Proust è un autore profondamente legato al proprio vissuto, e i luoghi della sua vita ritornano più volte nei suoi romanzi, magari con nomi diversi o sotto forma di metafore non subito comprensibili. Il modo migliore per capirlo pienamente è, dunque, fare i bagagli e ripercorrere i suoi stessi passi. Non sempre è stato facile capire certe associazioni, ma alla fine dell’esperienza ci siamo sentiti tutti un po’ più “proustiani” e ognuno di noi, nel proprio piccolo, ha riscoperto qualche pezzetto di sé che credeva ormai perduto per sempre (anche grazie all’assaggio delle madeleines!).