di Rita Italiano e Federica Guidotti

A Stanford a scuola di Impact investing. Bianca Crivellini (nella foto a lato), laureata in Giurisprudenza nella sede di Milano dell'Ateneo, dopo un’esperienza lavorativa, grazie alle “Ermenegildo Zegna Founder’s Scholarship”, ha potuto partire per Stanford, dove, tra l’altro, studia la “finanza d’impatto”, un nuovo modo di investire, in cui l’investitore persegue attivamente uno scopo sociale insieme al ritorno economico.

«Tornare studente è un’esperienza molto intensa. Lo vedo in me, ma anche in tutti i miei colleghi qui a Stanford. Dopo qualche anno di lavoro, apprezziamo molto di più lo studio, perché lo abbiamo scelto con grande consapevolezza e perché permette un’autonomia che il lavoro non concede». 

Che cosa ha trovato nell’università californiana? «Un ambiente unico e, sotto molti aspetti, non replicabile. È un’università molto selettiva e piuttosto piccola (conta poco più di 15.000 studenti) ma è il secondo campus più vasto al mondo (dopo quello dell’Università di Mosca) e si trova in una zona non urbana. Con queste caratteristiche, l’ambiente universitario è davvero una “bolla”: la vita degli studenti si svolge prevalentemente nel campus, ed è quindi molto intensa e concentrata». 

Un ambiente esclusivo… «È come vivere in una piccola cittadina isolata, i cui 15.000 abitanti sono stati selezionati tra i migliori candidati al mondo nel proprio campo. Posso dire con certezza di non aver avuto, da quando sono arrivata, una singola conversazione noiosa o banale. Mi confronto ogni giorno con professori e studenti, con avvocati, ingegneri, antropologi e chirurghi, con coreani, peruviani, nigeriani e finlandesi, gli stimoli sono davvero infiniti. E, oltre alle persone, che sono senz’altro l’elemento più significativo per me, Stanford ha almeno altre due peculiarità». 

Quali sono? «La prima è che si viene bombardati costantemente di opportunità. Fellowships, ricerca retribuita, esperienza sul campo, viaggi di team building, conferenze, pranzi con luminari – ogni giorno ricevo decine di email che mi presentano queste opzioni. Richiede tempo e si rischia di sentirsi sopraffatti, ma il senso di opportunità e ricchezza che dà è davvero incredibile». 

E la seconda? «Stanford è che si trova nella Silicon Valley, il luogo da cui oggi esce gran parte dell’innovazione e della creatività. E questo senso di possibilità, di sfidare se stessi, di pensare in grande contagia davvero l’Università. Fallire è una cosa positiva, perché significa che si è provato a realizzare qualcosa e la cultura di questo luogo è quella di continuare a fallire, perché prima o poi il risultato sarà Facebook o Tesla».

Cosa studia a Stanford? «Sto seguendo un master in International Economic Law, Business, and Policy alla Stanford Law School. Mi sto specializzando in particolare in due discipline: Rule of Law and Economic Development e Impact Investing. La prima indica lo studio dello stato di diritto e delle istituzioni giuridiche che favoriscono lo sviluppo economico, la seconda in italiano si chiama “finanza d’impatto”». 

Di cosa si tratta? «Di un nuovo modo di investire, in cui l’investitore persegue attivamente uno scopo sociale insieme al ritorno economico, accettando rendimenti al di sotto o in linea con il mercato per ottenere un impatto sociale o ambientale. Ho scelto questo percorso perché ho sempre desiderato contribuire, per quanto mi è possibile, agli sforzi volti a ridurre le diseguaglianze e la povertà che opprimono una parte troppo grande del mondo. Queste due discipline costituiscono, credo, un’ottima combinazione per capire, inquadrare e affrontare i problemi che provocano queste disparità e penso che, con gli strumenti che sto acquisendo, mi sarà possibile contribuire positivamente a risolvere alcuni problemi globali».

Crede che un contesto internazionale aiuti nella propria formazione umana e professionale? «Tutte le esperienze internazionali che ho avuto la fortuna di vivere mi hanno arricchita immensamente. Collaborare e convivere con persone di culture diverse mi ha consentito di imparare moltissimo e di scoprire punti di vista che altrimenti non avrei considerato. Umanamente, il confronto con un ambiente internazionale favorisce la comprensione e il rispetto; professionalmente, stimola la creatività e ci consente di avere un’ottica molto più completa nel nostro approccio al lavoro e nel cercare soluzioni alle sfide che cerchiamo di risolvere. Da un punto di vista più pratico, poi, costruire una rete di contatti internazionali ha un valore inestimabile, sia personale sia lavorativo».