Massimo Gramellini con gli studenti dell'Università CattolicaUn timido che ha fatto della penna la propria voce. Un ragazzo che quando partecipava alle conferenze in università scriveva le domande al suo compagno di banco, sfruttando l’altrui intraprendenza per ricevere le risposte che desiderava. Per Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa e scrittore di successo, la narrativa è il miglior modo di raccontare se stessi e gli altri, anche nel giornalismo, «come avviene in quello anglosassone - spiega -, dove i fatti vengono contestualizzati attraverso la creazione di immagini narrate e non semplicemente descritte».

Proprio per facilitare chi, come lui, è un timido per natura, durante l’incontro “Giornalismo e narrativa, un matrimonio felice?”, che si è svolto a Milano il 7 febbraio, ha deciso di mettersi a disposizione dei ragazzi del corso di  alta formazione “Il piacere della scrittura” dell’Università Cattolica e sottoporsi alle loro domande scritte su pezzi di carta in forma anonima. Dei veri e propri “pizzini” ai quali Gramellini ha risposto con l’entusiasmo di chi è riuscito a fare della scrittura, sua vera passione, un lavoro. «Il giornalismo, anche ad alti livelli, l’ho sempre considerato un mestiere - racconta -. Non riesco, invece, a vivere la scrittura con lo stesso distacco». Il bisogno di mettere le emozioni su carta ha segnato tutta la sua vita, dal primo corteggiamento a scuola alla scoperta del suicidio della madre, episodio che ha poi ispirato il suo ultimo libro Fai bei sogni.

 

La lezione assume il tono dello scambio di opinioni e Gramellini, introdotto e affiancato dal direttore scientifico Ermanno Paccagnini, dal condirettore Giuseppe Farinelli, e dalla coordinatrice didattica Giuliana Grimaldi, racconta come, dal doppio punto di vista di scrittore e giornalista, muterà il rapporto tra queste due realtà, soprattutto nel modo di scrivere. «Giornalismo e narrativa sono destinati ad avvicinarsi sempre di più - dice - e a contaminarsi tra loro. Gomorra di Roberto Saviano, ad esempio, ci ha regalato una grande lezione: esistono molti testi giornalistici sulla camorra, veramente ben fatti, ma nessuno di questi ha mai avuto grande successo. Questo perché si approcciavano all’argomento col tipico stile giornalistico, in maniera distaccata. Saviano ha avuto l’abilità di personificare il racconto, usando la sua esperienza per raccontare la storia. Lo stesso fece Tiziano Terzani per parlare del dramma del cancro ne L’ultimo giro di giostra». Un genere narrativo, quindi, applicato al giornalismo, un racconto dei fatti attraverso la narrazione e non la semplice descrizione «cavalcando la tendenza tipica dello stile anglosassone».

La stessa contaminazione il vicedirettore la vede necessaria nella narrativa. «Anche i racconti di pura fantasia ormai hanno perso l’attrattiva che avevano un tempo. È come se la gente non riuscisse più ad accettare le invenzioni e abbia bisogno di ricercare la verità all’interno della storia». Prima di andarsene, Gramellini trova lo spazio anche per due consigli indirizzati ai giovani scrittori: «Se avete qualcosa di bello e, soprattutto, nuovo di cui parlare o da raccontare aprite un blog. Se è forte prima o poi qualcuno lo noterà. Mi raccomando scrivete con il cuore. Gli intellettuali che scrivono solo con la testa ormai non hanno più niente da dire, sono sterili. Chi, invece, ascolta solo la pancia è un semplice venditore».

 


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