Non è una tessera a fare il giornalista, e spesso neanche la passione basta per diventarlo. Più di tutto serve tenacia e ostinazione, per non crollare davanti ai rifiuti e non perdersi nei vicoli cechi del mercato. È stato questo il primo insegnamento lasciato dagli otto professionisti ai partecipanti della terza edizione della Winter School dedicata al Giornalismo televisivo di inchiesta, organizzata dalla Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica con la collaborazione del Premio Ilaria Alpi.

A darsi il cambio in quattro giorni, dal 14 al 17 febbraio 2011, interamente dedicati al tema dell’inchiesta video sono stati Andrea Cairola, Emilio Casalini, Giorgio Fornoni, Sabrina Giannini, Domenico Iannacone, Riccardo Neri, Sigfrido Ranucci e Pablo Trincia. Ognuno chiamato a riferire su un argomento specifico e relativo alla propria esperienza professionale, da “L’analisi delle fonti” di Ranucci alla “Costruzione e metodologia dell’inchiesta giornalistica” di Iannacone, fino a “Il mestiere di giornalista indipendente: come districarsi nella giungla produttiva” di Cairola.

Senza però fermarsi alla pura retorica gli otto giornalisti sono stati invitati a mostrare ai 40 partecipanti (metà alunni della scuola, metà esterni) alcuni del loro migliori lavori, per poi smontarne la realizzazione e definire un modus operandi che fa del lavoro di ricerca e verifica il proprio cardine. Ed è così che la squadra di Report ha sezionato alcune delle migliori inchieste andate in onda: “La strage nascosta” di Ranucci, che documenta l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito americano per espugnare la città irachena di Fallujah, “Il re della bistecca” della Giannini, su una truffa internazionale che ha coinvolto il gruppo Cremonini, e “Di pubblico demanio” di Casalini, sugli stabilimenti balneari di Ostia che occupano il demanio marittimo in cambio di un canone ridicolo.

A smontare “Spazzatura”, uno dei suoi ultimi lavori per “Presa Diretta” di Riccardo Iacona, si è prestato anche Domenico Iannacone. Per raccontare la Campania dei rifiuti, il giornalista ha attraversato la regione in lungo e in largo fra le ecoballe di Taverna del Re, le numerose discariche che non sono mai state bonificate e il micidiale percolato che continua ad avvelenare acqua e aria. «Alla ricerca e alla “presa diretta” della realtà - ha detto Iannacone - aggiungo sempre una carica empatica che mi permette di avvicinare le persone che incontro».

Analizzato durante la Winter School anche il tema dell’inchiesta giornalistica in un contenitore di infotainment, sotto la guida della iena, per l’occasione senza giacca né cravatta, Pablo Trincia. «Dopo aver lavorato tre anni come freelance per la carta stampata - ha detto Trincia - ero deciso ad abbandonare la professione». Dalla crisi matura la decisione di lanciarsi nel mondo video e forte delle cinque lingue parlate, tra cui il kiswahili e il wolof, diventa una delle iene di Davide Parenti. È così che nascono pezzi come “Giamaica a mano armata” e “I disperati del Sahara”, in cui, ha spiegato Trincia, tutto è strettamente pianificato dalla redazione di Milano e ben poco è lasciato all’improvvisazione.

A spiegare una situazione di mercato sempre più complessa ci hanno pensato Cairola, autore e co-direttore di “Citizen Berlusconi”, e Neri, produttore indipendente di documentari e fondatore della Lupin Film. Prodotto dall’americana Pbs e da un pool di televisioni europee, “Citizen Berlusconi” è un caso di produzione internazionale garantita da una buona dose di intraprendenza e un’idea vincente. Tra i primi documentari prodotti da Neri c’è invece “H.O.T. Human Organ Traffic” di Roberto Orazi, risultato di una produzione indipendente sempre pronta a ragionare su una buona proposta.

 

Se per tanti l’approdo alla professione ha significato superare un momento di disamore e di disincanto, questo non vale per Giorgio Fornoni. Di professione commercialista e giornalista honoris causa da pochi anni, Fornoni parte appena può per ogni zona del mondo, di solito le più problematiche, per realizzare reportage fotografici e video. Lavori che solo poco tempo fa hanno trovato spazio sulle reti televisive nazionali. Ma i rifiuti anziché frustrazione lo hanno portato a perseverare. «Non ho mai pensato - ha detto il giornalista - di smettere di raccontare storie, era l’unica cosa che potevo fare per me e per le persone che incontravo». Poi l’incontro con la Gabanelli e il lavoro a Report. Ma la visibilità non ha cambiato il modo di lavorare di Fornoni, irrefrenabile e sempre a caccia del reportage impossibile.