Lo spirito di accoglienza di un’isola in mezzo al Mediterraneo e il cimitero della barche. È questa la realtà che ha trovato l’équipe di psicologi ed educatori del master in “Relazione d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale e internazionale” alla volta della propaggine più estrema dello Stivale. Per alcuni giorni hanno convissuto con i lampedusani e incontrato i migranti ospitati nel centro di prima accoglienza. Insieme alla professoressa Cristina Castelli, direttrice del master, c’erano Francesca Giordano, Veronica Hurtubia e Margherita Fioruzzi. L’iniziativa, promossa insieme all’Associazione Francesco Realmonte Onlus, è stata sostenuta dalle fondazioni Fondazione Cologni e Child Priority.

Fin dall’epoca fenica luogo di incontro e di intreccio di popolazioni diverse, Lampedusa oggi si sente ai confini dell’impero e, come dicono i suoi abitanti, che non vogliono più sentirsi italiani, l’isola dei diritti negati. «Il problema più grande lo vivono proprio loro. I migranti restano per un tempo relativamente breve e vengono poi spostati nei centri di seconda accoglienza, mentre chi vive quotidianamente le difficoltà sono i lampedusani», dice Francesca Giordano, una delle psicologhe presenti nei giorni scorsi che ha collaborato al progetto di integrazione per i minori.

La tragedia dell’ottobre scorso ha scosso le sensibilità e la vulnerabilità della popolazione locale e in particolare dei bambini, che hanno visto la propria isola trasformarsi in uno scenario di morte di uomini, donne e bambini. L’équipe ha realizzato una accurata analisi dei bisogni e delle priorità del contesto. L’analisi delle narrazioni e dei disegni dei bambini della scuola primaria dell’Istituto omnicomprensivo “Luigi Pirandello”, raccolte e condivise dall’Associazione locale il Giglio Marino, guidata dalla psicologa Caterina Famularo, rivela l’impatto che questa tragedia ha avuto sulle menti dei minori di Lampedusa. Sofferenza, fragilità, paura, senso di colpa, di impotenza e dolore sono alcuni dei vissuti traumatici emersi nell’ambito dei laboratori narrativi realizzati. I bambini raccontano l’odore di morte che usciva dalle bare, il pensiero di non essere riusciti a salvare tutti e le immagini dei bambini deceduti. Al contempo, però, i piccoli hanno espresso un forte desiderio di accogliere e aiutare gli altri e di tornare a vedere la loro Lampedusa come l’isola della speranza e non più afflitta da queste storie di tristezza. Un’idea rappresentata dal disegno le “mani del mare”, che da impietoso distruttore diventa amico e soccorritore.

Il lavoro svolto con i circa 20 bambini locali si è concentrato in particolare sulla realizzazione dei primi silent books, libri senza parole che raccontano storie attraverso la composizione artistica di materiali di recupero. Il laboratorio creativo-espressivo, che in generale offre al minore uno spazio in cui sentirsi al sicuro ed esprimere emozioni e vissuti anche dolorosi con linguaggi a misura di bambino, si identifica come un “luogo della mente”, come uno “spazio/tempo” in cui il bambino e l’adolescente hanno la possibilità di re-inventare il reale ed elaborare un prodotto che indichi una lettura trasformata della situazione problematica.

A fronte del primo approccio avvenuto a Lampedusa, il progetto continuerà per tutto il 2014 proprio a partire dai Silent BookUn mare di storie”, come strumento particolarmente adatto in quanto i libri, con i loro racconti, non minacciano, non tradiscono, né svelano le nostre difficoltà, ma consentono di contemplare anche l’evento più problematico attraverso il filtro protettivo di una storia. La narrazione per immagini poi offre a tutti i bambini la possibilità di dire e dirsi superando le barriere linguistiche e culturali. L’idea è quella di realizzare una collana di sette fiabe con temi educativi, ispirati alle narrazioni dei minori lampedusani, che trattano di tematiche relative all’identità, ai valori, alla famiglia, alla diversità, all’accoglienza, all’integrazione.

Altro obiettivo è la realizzazione di laboratori creativo-espressivi con i minori residenti sull’isola, e con i minori migranti presenti nei centri di prima e seconda accoglienza distribuiti sul territorio nazionale. Infine il progetto vuole offrire un supporto e tutti gli strumenti necessari a psicologi, educatori, psichiatri, operatori sociali e personale educativo, deputati alla presa in carico dei minori migranti ospitati nei centri di prima accoglienza, nelle comunità per minori stranieri non-accompagnati (Msna), nei Centri di accoglienza dei richiedenti asilo (Cara) e nel Sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) presenti nelle regioni Lazio, Lombardia e Sicilia.