Mani in pasta o dita sullo schermo? Sono davvero alternative queste due esperienze nell’avvicinare bambini e ragazzi all’arte? Siamo passati dal ritardo abissale del nostro Paese, rispetto al mondo anglosassone, nell’introdurre i Servizi educativi dei musei (atelier, workshop…) alla rivoluzione digitale che, investendo tutte le esperienze dei giovanissimi, dalla scuola al tempo libero, offre incredibili opportunità anche per la fruizione dell’opera d’arte.

Che non ci sia un’alternativa tra manipolazione e tecnologie digitali lo dice senza esitazione Elena Dondina, presidente del Museo dei bambini, il Muba di Milano, uno dei templi italiani dell’avvicinamento dei ragazzi all’arte (nella foto in alto uno del laboratori).

«L’introduzione della tecnologia dentro a un museo è di grandissimo valore - afferma -. I bambini, che sono i più curiosi di tutti, sono quelli che rispondono di più a questo tipo di sollecitazioni. La tecnologia li attrae e li sottrae al rischio della noia. In pochi anni c’è stato un cambiamento notevole nei loro interessi: i laboratori che facevamo tempo fa con i bambini di 9-10 anni, oggi vanno bene al massimo per la materna o la prima/seconda elementare».

Ben vengano quindi schermi, installazioni, tablet e app: «L’irrompere delle nuove tecnologie nella nostra vita ha introdotto nuove modalità di comunicazione e soprattutto di fruizione delle opere d’arte» spiega Grazia Maria Massone, coordinatrice del master in Servizi educativi nei Musei italiani dell’Università Cattolica. «Sono strumenti che permettono a ciascun visitatore di entrare nell’opera con modalità percettive più estese e di fare da subito un’esperienza».

Arte e bambini: spazio al touch

Non ha dubbi in proposito il professor Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit dell’Università Cattolica e tra i massimi esperti di nuove tecnologie applicate alla didattica: «Lo schermo è touch: quindi le mani sono in pasta anche lì. Il coinvolgimento tattile, oltre a quello di vista e udito, rende l'esperienza con il dispositivo assolutamente “esperienziale”».

Non manca, tuttavia il rischio di esagerare o, come capita spesso, di passare da un estremo all’altro. Un recentissimo studio Ocse dimostra che fino a un certo uso intelligente e “moderato”, le tecnologie aiutano l’apprendimento, poi distraggono. «Anche quando ci si siede a tavola, persino in presenza di cibo raffinato e di grandissima qualità, se ci si abbuffa poi si sta male» afferma il professor Rivoltella. «Non è solo questione di moderazione del loro uso, ma soprattutto di metodo. Da sole fanno poco».

E poi servono attenzioni: «Se riducessimo l'intera esperienza del mondo (anche quella dell'arte) a un'esperienza mediata, forse faremmo perdere qualcosa ai ragazzi che all'arte si avvicinano - conclude Rivoltella -. La riproducibilità tecnica, come diceva Walter Benjamin, sottrae all'opera l'aura e a noi il fremito che proviamo quando ci troviamo di fronte all'originale».


SE LA CULTURA INCONTRA IL LAVORO

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LAVORARE NEL TRATTO DI STRADA TRA L’OPERA E CHI LA GUARDA

di Grazia Maria Massone *

I Servizi educativi sono nei musei italiani un’acquisizione relativamente recente, rispetto alla lunga tradizione dei paesi anglosassoni che risale addirittura agli anni ’50. La dicitura ormai sorpassata di “Sezione Didattica”, che ha avuto importanti esempi come quello di laboratori di Brera curati negli anni ’70 da Bruno Munari e da Renate Eco, ha ceduto il posto a un concetto molto più ampio ed esaustivo di mediazione del patrimonio a ogni tipo di pubblico.

Le nuove tecnologie hanno introdotto nuove modalità di fruizione delle opere d’arte, che permettono di affiancare alle tecniche più tradizionali, come la visita guidata, l’atelier o il workshop, strumenti che permettono a ciascun visitatore di entrare nell’opera con modalità percettive più estese. La scelta di questi strumenti e la costruzione dei percorsi sono molto complesse e richiedono una adeguata preparazione che precede l’aspetto tecnologico.

L’Università Cattolica ha attivato il master “Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive” (giunto quest’anno alla tredicesima edizione) per offrire una formazione altamente specializzata proprio a quanti (laureati in storia dell’arte, beni culturali, architettura, scienze della formazione….) vogliono lavorare nel mondo dell’arte e del patrimonio storico-artistico in quel tratto di strada che sta tra l’opera e chi la guarda. Perché se le tecnologie sono un grande aiuto, rimane fondamentale la conoscenza delle tecniche di mediazione, di “traduzione” del patrimonio secondo modi di percezione adeguati alle diverse e sempre più numerose tipologie di pubblico.

* coordinatrice del master in Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive