«Leaving New York never easy»: queste parole dei R.E.M. mi risuonavano all’orecchio mentre salutavo Time Square, l’Empire e tutto l’affascinante skyline della Grande Mela.

Dal 24 maggio al 13 giugno, infatti, grazie all’Università Cattolica ho vissuto una bellissima e intensa esperienza: il corso intensivo di screenwriting, directing ed editing presso la School of Visual Arts di New York.
Sono partita insieme a una decina dei miei colleghi del Master in Scrittura e produzione per la fiction e il cinema e ad altri studenti della Cattolica, accompagnati dalla nostra meravigliosa tutor, la professoressa Mara Perbellini, e dal direttore del Master, il professor Armando Fumagalli, che ci hanno incoraggiati prima e durante questa esperienza e che ci hanno sempre sostenuto e supportato, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà.
Una volta giunti a New York siamo stati accolti dal calore di Simonetta d’Italia Wiener e di Sal Petrosino, direttori del corso. Abbiamo lavorato suddivisi in quattro gruppi composti da cinque persone: il nostro obiettivo è stato la realizzazione completa di un cortometraggio.

La prima settimana è stata dedicata alla scrittura del soggetto e della sceneggiatura: dopo alcune lezioni teoriche tenute dalla professoressa Imelda O’Reilly, ci siamo concentrati sulla stesura dello script. Non è stato affatto un lavoro facile, anzi: al contrario delle mie aspettative si è rivelata la settimana più impegnativa, perché la storia era in continua evoluzione e all’inizio non riuscivamo a trovare la giusta chiave da dare al nostro corto. La writing room è diventata per quei primi giorni la nostra unica casa, ma grazie ai consigli preziosi degli insegnanti siamo riusciti infine a stendere la sceneggiatura definitiva.
La seconda settimana, incentrata sulla ripresa del corto, è stata per me un susseguirsi di novità: è stato emozionante prendere in mano una telecamera, il microfono, fare il casting degli attori. Ogni gruppo si è diviso i compiti principali dell’équipe di produzione (regista, direttore della fotografia, produttore, assistente alla regia, tecnico del suono, improvvisandoci poi truccatori, costumisti, addetti alla ricerca delle location) e ha steso la schedule e la shot-list delle scene da girare. Grazie al fondamentale supporto del nostro insegnante Igor Sunara e dei tecnici che ci assistevano, siamo riusciti a ricostruire i set e a girare le scene anche nelle condizioni più improbabili.
Infine la terza settimana abbiamo rivisto il materiale girato e siamo passati alla fase dell’editing e del montaggio: le lezioni del professore Kamil Dobrowolski sul programma Final Cut Pro si sono rivelate davvero determinanti e grazie ai suoi “trucchi del mestiere” siamo riusciti ad assemblare le scene, a sistemare l’audio e la colorazione e a montare l’intero cortometraggio.

La sera prima della partenza abbiamo assistito allo screening dei nostri lavori, che sono stati proiettati sullo schermo cinematografico dello SVA Theatre. Questo è stato davvero un momento emozionante: guardare sul grande schermo il risultato di tre settimane di lavoro mi ha riempita di soddisfazione, e ho visto con i miei occhi la magia del cinema, di un’idea che nasce nella mente, viene trasferita su un foglio di carta e diventa poi reale, in carne e ossa, con colori e musica.
Questi venti giorni sono stati davvero intensi, ho imparato tante cose in pochissimo tempo, e la difficoltà di lavorare in gruppo sotto pressione si è fatta sentire parecchio. Non sono mancate le discussioni, i momenti di sconforto, la tentazione di arrendersi, ma per fortuna siamo riusciti a superare ogni difficoltà.

Parte integrante dell’esperienza è stata, ovviamente, la meravigliosa città che ci ha ospitato: non avevamo tanto tempo libero a nostra disposizione, ma abbiamo cercato di sfruttare ogni momento per visitare New York. Piano piano ho iniziato a conoscerla: mi sono persa passeggiando per le vie di Manhattan, per i negozietti di Brooklyn, il lungomare e le statue di Central Park, e ho visitato alcuni tra i musei più importanti al mondo. Mi sono commossa al memorial di Ground Zero ed emozionata sul tetto del Rockfeller Center al tramonto, ho visto la Statua della Libertà ed Ellis Island con il suo museo dell’immigrazione. Ho avuto la fortuna di assistere a uno spettacolo di Broadway (omaggio della School of Visual Arts) e a una partita di baseball allo Yankee Stadium, ho gustato ottimi brunch della domenica e cocktail sui rooftop con vista sull’Empire: a volte sembrava davvero di vivere in un film. Parlando con qualche americano, poi, ho capito che New York è davvero la città della libertà, dove ognuno può essere ciò che vuole, libero da giudizi e da condizionamenti esterni.

Al mio rientro in Italia, ho riportato a casa una valigia molto più ricca rispetto a quella con cui sono partita: l’ho riempita con i preziosi insegnamenti e consigli dei professori, con l’emozione del grande schermo e la soddisfazione del vedere il proprio lavoro prendere forma giorno dopo giorno, con una consapevolezza diversa e nuova di me stessa, che solo un’esperienza così intensa può dare, e con la gioia di avere stretto e rafforzato legami importanti e profondi con i miei compagni di avventura.