La “svolta computazionale” degli studi umanistici è inevitabile. Le trasformazioni digitali che stanno investendo anche le discipline umanistiche sono al centro della nona edizione del convegno annuale dell’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale (AIUCD) intitolato La svolta inevitabile: sfide e prospettive per l’Informatica Umanistica, in programma all’Università Cattolica del Sacro Cuore da mercoledì 15 a venerdì 17 gennaio. L’iniziativa è organizzata dal Centro Interdisciplinare di Ricerche per la Computerizzazione dei Segni dell’Espressione (CIRCSE), che è l’istituzionalizzazione di un gruppo di ricerca fondato da padre Roberto Busa alla fine degli anni Settanta in Cattolica, dove il gesuita tenne un corso di linguistica computazionale e matematica.

Il convegno è stato aperto nell’Aula Pio XI con i saluti di Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica, di Francesca Tomasi, presidente AIUCD, di Cristina Marras e di Marco Passarotti, Chair di AIUCD 2020, di Maurizio Decollanz (nel video sopra), Chief Communications Officer IBM Italia, di Paolo Senna, Biblioteca dell’Università Cattolica. 

La tre giorni di studio, articolata in otto sessioni, conta sulla partecipazione di oltre 130 esperti in digital humanities e la presentazione di una cinquantina di relazioni dedicate a tematiche che spaziano dalla geolinguistica digitale alla libera fruizione dei manoscritti digitalizzati, dal trattamento automatico del linguaggio applicato all’italiano volgare ai repertori terminologici plurilingui fra normatività e uso nella comunicazione digitale istituzionale e professionale.  

«Oggi si parla molto di humanities computing, informatica umanistica perché diversamente da un tempo i computer sono nelle mani di tutti», spiega Marco Passarotti, direttore del CIRCSE e vincitore nel 2018 di un ERC Consolidator Grant per realizzare un progetto in questo ambito. «L’enorme massa di dati registrati su supporto digitale dà la possibilità di computare il dato umanistico, fare conti e analisi in termini quantitativi e qualitativi che prima non erano pensabili. L’umanista, quindi, si trova ad affrontare una svolta di carattere metodologico, visto che sul proprio tavolo di lavoro quotidiano non ha più solo l’edizione critica cartacea di un’opera ma anche strumenti e risorse digitali, come un analizzatore morfologico automatico o un lessico computazionale». 

Ciascuna giornata include una comunicazione su invito. Steven Jones, University of South Florida (USA), ha parlato di Digging into CAAL: Father Roberto Busa’s Center and the Prehistory of the Digital Humanities presentando l’affascinante risultato di un progetto finanziato dal National Endowment for the Humanities americano per la ricostruzione in 3D del laboratorio di analisi linguistica e letteraria automatica che padre Busa fondò negli anni 60 a Gallarate, a Nord di Milano, e in quei tempi tra i più importanti del mondo.

Giovedì 16 gennaio Julianne Nyhan, University College London (UK) nel corso della sua relazione, dal titolo Where does the history of the Digital Humanities fit in the longer history of the Humanities? Reflections on the historiography of the ‘old’ in the work of Fr Roberto Busa S.J., racconterà i risultati della sua oral history of digital humanities basata su una serie di interviste a personaggi importanti della disciplina per riflettere sul lavoro di padre Busa. 

Infine, venerdì 17 gennaio parlerà Roberto Navigli, della Università La Sapienza di Roma e unico italiano vincitore di due ERC grant nell’ambito della linguistica computazionale, intervenendo sul tema: Every time I hire a linguist my performance goes up (or: the quest for multilingual lexical knowledge in a deep (learning) world).

A padre Busa è dedicata nei giorni del convegno una mostra che, allestita nell’atrio dell’aula Pio XI, espone materiali tratti dall’archivio personale che il gesuita volle donare alla Biblioteca d’Ateneo nel 2010, un anno prima della morte. L’esposizione, attraverso lettere, supporti, schede perforate, nastri, ed estratti di giornali degli anni ’50, oltre a raccontare la storia della linguistica computazionale, di cui il gesuita di Gallarate è stato uno dei pionieri nel mondo, raccoglie anche vari materiali dell’Index Thomisticus, il grande corpus dei testi di Tommaso d’Aquino che padre Busa digitalizzò e arricchì con informazioni linguistiche grazie all’IBM, che dal 1949 sino al 1980 finanziò il progetto.