«In verità il mio libro va raccogliendo una più che soddisfacente ed un poco insperata messe di recensioni piuttosto favorevoli. Soltanto Lei però (e sono lieto di dargliene atto) ha capito, e cercato di far capire, che la mia incolta prosa era frutto di cultura. Persino i consulenti della Casa Einaudi erano convinti, almeno nei primi tempi, che io altro non fossi che un meccanico dotato di un forte istinto narrativo, mentre io ho alle spalle un bel po’ di studi classici e traduco a prima vista Shakespeare ed Hopkins».
 
È il 3 dicembre 1952 il giorno in cui Beppe Fenoglio scrive questa lettera a Giambattista Vicari, direttore della rivista letteraria “Il Caffè”, da lui fondata e diretta fino al 1977. Proprio dall’archivio del “Caffè”, che si trova a Montecalvo in Foglia (piccolo paese in provincia di Urbino) sono emerse, oltre a quella appena citata, altre tre preziose lettere inedite dell’autore, che sta vivendo negli ultimi anni un momento di particolare attenzione da parte della critica. Attorno alle opere e alla vicenda biografica dello scrittore di Alba si è infatti sviluppato un nuovo fermento, determinato in parte da studi sulle sue carte di lavoro, dall’altra dalle nuove acquisizioni documentarie, l’ultima delle quali si deve a Laura Aldorisio, giovane laureata in Filologia moderna dell’Università Cattolica, che ha dedicato la sua tesi magistrale alla rappresentazione dell’infanzia nelle vicende della Resistenza nelle opere narrative di Fenoglio, sotto la guida del professor Uberto Motta.

«A tesi praticamente rilegata chiesi ad Anna Vicari, curatrice dell’Archivio e del Centro studi “Il Caffè”, di poter consultare le lettere di Fenoglio. La mia terra, il pesarese, ospita questo patrimonio documentario ricchissimo, di cui avevo già potuto leggere le due lettere dello scrittore a Vicari del ’58 e del ’59, pubblicate nell’epistolario uscito a cura di Luca Bufano nel 2002 per Einaudi. Ma queste quattro nuove lettere, emerse in seguito, grazie alle continue ricerche condotte in seno all’archivio, permettono di analizzare con maggiore completezza il particolare rapporto che ha legato l’autore e il critico fondatore del “Caffè”».

Un episodio importante, dunque, e non solo per la ricostruzione della vicenda biografica di Fenoglio - non così facile, data la sua personalità schiva e le poche testimonianze che ne restano (solo 91 erano le lettere pubblicate da Bufano, distribuite nell’arco di ben 22 anni, dal 1940 al 1962) - ma anche per l’interpretazione critica della sua scrittura: dalle carte ritrovate emerge la figura di un autore che, all’indomani della pubblicazione de I ventitré giorni della città di Alba (la raccolta di racconti uscita nei “Gettoni” Einaudi nel 1952), è pienamente consapevole del suo talento e della sua preparazione culturale, in contrasto con i consulenti di Einaudi, uno su tutti Vittorini, da cui si sentiva considerato «un meccanico dotato di forte senso narrativo». Del resto è noto l’episodio dell’uscita del suo primo romanzo La Malora, sempre nei “Gettoni” di Vittorini nel 1954, in cui il direttore di collana presentava in modo controverso la nuova opera su uno dei suoi celebri risvolti in cui metteva in guardia «questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile».

L’incerta fortuna che ebbe durante la sua breve vita - morì di malattia a 41 anni, nel 1963 - sembra così ricevere una giusta compensazione: nuove edizioni, tra le quali la raccolta Tutti i romanzi pubblicata da Einaudi nel 2012 a cura di Gabriele Pedullà, nuove acquisizioni documentarie e non - anche le armi del partigiano Fenoglio sono state rinvenute proprio a ottobre dello scorso anno dalla figlia Margherita - e nuove prospettive di studio, come quelle che sono emerse nell’ultimo convegno, nel novembre 2013, La forza dell’attesa, per i cinquant’anni dalla scomparsa, cui ha preso parte anche la giovane studiosa Laura Aldorisio.