L’adozione internazionale è un fenomeno in crescita nel nostro Paese. Insieme alla gioia di accogliere un bimbo, crescono anche le problematiche di accoglienza sanitaria e di confronto con altre culture, che implicano aspetti psicologici, pedagogici e sanitari. «Le adozioni sono passate da 1.797 nel 2001 a 3.977 nel 2008, per un totale di 24.001 bambini. Il tasso nazionale si attesta, quindi, sulle 5,9 adozioni su 100.000 abitanti», spiega il medico pediatra Piero Valentini, responsabile dell’ambulatorio di Etnopediatria del Gemelli e membro del Consiglio direttivo del Gruppo di lavoro nazionale per il bambino immigrato (Glnbi) presso la Società italiana di pediatria, che analizza il tema della salute del bambino immigrato e della necessità di un’adeguata accoglienza sanitaria presso servizi pediatrici qualificati.

«I dati sono riportati sul sito web della Commissione Adozioni Internazionali: Europa e America sono i continenti più rappresentati per quanto riguarda la provenienza di questi bambini, Federazione Russa, Colombia, Ucraina, Brasile, Vietnam, Etiopia, nell’ordine, sono i principali paesi d’origine. Abbandono o perdita della patria potestà sono le motivazioni principali che hanno portato allo stato di adottabilità del minore; 1-9 anni la fascia d’età maggiormente interessata. L’età media dei genitori è 35-39 anni per le donne e 40-44 anni per gli uomini. Nella gran parte (75,3%) si tratta di persone in possesso di un diploma di laurea o di scuola media superiore; 86,9% di queste coppie non ha figli».

L’adozione internazionale genera anche problemi di natura sanitaria. Come si muove il nostro Paese?
«Dal 2002, con un aggiornamento nel 2007, esiste un Protocollo diagnostico-assistenziale per il bambino adottato all’estero, che è il risultato dello sforzo dei vari centri di riferimento sparsi sul territorio nazionale di trovare un approccio comune alle esigenze dei neo-genitori, spesso vittime dell’ansia per la situazione sanitaria del proprio bambino, di cui si conosce ben poco, sia in termini clinici che anamnestici».

Come si applica nella pratica clinica?
«Si eseguono esami sierologici, volti ad individuare eventuali patologie infettive rilevanti e a valutare lo stato di protezione del bambino rispetto alle vaccinazioni cui risulta essere stato sottoposto. L’eventuale contatto con il bacillo della tubercolosi e la presenza di parassitosi intestinali sono altri due aspetti importanti di questa valutazione. Inoltre, viene effettuato uno screening dei principali parametri bio-umorali ed ematologici (esami di funzionalità renale ed epatica, patrimonio marziale e di vitamina D, esame chimico delle urine). Agli esami ematologici si affiancano consulenze specialistiche (oculistica, ortopedica, endocrinologica, cardiologica, otorinolaringoiatrica, dismorfologica) suggerite dalla valutazione clinica iniziale».

Qual è l’esperienza dell’Ambulatorio di Etnopediatria del Gemelli?
«Da circa tre anni abbiamo organizzato l’attività di accoglienza per questi bambini, basandoci sulle linee guida del Protocollo del Glnbi: in particolare, nell’Ambulatorio di Etnopediatria vengono raccolti i dati anagrafici del bambino, le notizie riguardanti il suo cammino fino al momento dell’adozione, viene visitato il piccolo paziente, si accolgono i genitori adottivi per spiegare loro i punti principali del Protocollo. Viene, quindi, fissata una data in cui effettuare la valutazione laboratoristico-strumentale che si svolge presso il Day Hospital di Pediatria».

Quanti bambini adottati avete preso in carico?
«Sono stati valutati o sono in corso di valutazione circa 200 bambini provenienti da tutti i continenti, con una particolare presenza di soggetti provenienti da Federazione Russa, Colombia, Vietnam ed India. Incompleta copertura vaccinale, parassitosi intestinali, anemie sideropeniche, ipovitaminosi D sono le patologie più frequentemente diagnosticate».

Qual è la casistica che avete riscontrato?
«Dalle situazioni pediatriche più ordinarie, come la presenza di un megacolon diagnosticato tramite indagini radiologiche, a situazioni limite che coinvolgono aspetti di carattere psicologico, come la scoperta da parte dei genitori, che le bambine adottate erano state fatte oggetto di abusi nel corso della loro permanenza in alcune case-famiglia nel paese d’origine. In questi casi, è stato organizzato un incontro con i nostri neuropsichiatri infantili, in particolare con la professoressa Maria Giulia Torrioli, responsabile del Day Hospital di Neuropsichiatria infantile del Policlinico Gemelli, affinché l’intera famiglia potesse essere adeguatamente supportata e seguita nel tempo».

Un sostegno importante per le famiglie…
«È lo spirito con cui è stato creato il Protocollo del Glnbi: fornire un appoggio a una famiglia spesso disorientata, che ha bisogno di cominciare ad avere qualche certezza per iniziare nel modo migliore una nuova vita, invece che creare una “arida catena di montaggio” dalla quale sfornare altrettanto aridi, seppure utili, dati di laboratorio. La serenità della famiglia è l’obiettivo principale di questo lavoro».