Si parla molto di Brasile, oggi. Per l’incredibile sviluppo economico e sicuramente, per la straordinaria parabola politica che ha portato alla carica di capo di stato dapprima un operaio metalmeccanico, Luis Ignacio Lula da Silva, e poi una donna dal discusso passato di guerrigliera, Dilma Roussef. Si descrive come un paese sicuro del suo modello di sviluppo, orientato alla leadership internazionale.

Ma se a parlare di Brasile sono gli antropologi, l’immagine diventa più profonda, più sfaccettata e contraddittoria, sicuramente più affascinante. Con lo sguardo eccentrico e analitico che le è proprio, partendo dalla lettura di situazioni periferiche come quelle degli indigeni, dei contadini, dei culti afro-americani, l’antropologia culturale ci restituisce l’idea di un paese nel quale le tradizioni religiose africane dialogano con la modernità e di questa registrano le ambiguità, nel quale alla costruzione di uno stato volto al futuro non sembra corrispondere la maturazione di un sentimento democratico e multiculturale di un paese nel quale il cattolicesimo, sempre più scolorito della colonizzazione, si esprime però ancora in movimenti sociali che intendono garantire eguaglianza e inclusione ai segmenti popolari marginali.

Di Brasile si è parlato nella sede di Brescia il 27 maggio scorso per il primo convegno degli antropologi brasilianisti italiani, dal titolo: “Incroci transatlantici: il Brasile negli studi dell’antropologia italiana”. Diciannove relatori iscritti e tra loro il decano dei brasilianisti italiani, il professor Tullio Seppilli, già docente all’Università di Perugia. Si sono confrontati sui temi delle loro ricerche sul campo. Ha aperto i lavori il professor Seppilli che, ripercorrendo i suoi studi sulle religioni afro ha colto lo spunto per ragionare sui cambiamenti di paradigma necessari per la comprensione del mondo culturale brasiliano attuale.

Nell’ambito della sessione “Identità e incroci” il professor Angelo Fossati dell’Università Cattolica ha dato un quadro della “Serra de Capivara” nel Piauì, in cui si ritrovano pitture rupestri che, secondo gli archeologi, sarebbero importanti per retrodatare l’apparizione dell’uomo in America Latina. Bruno Barba, dell’Università di Genova, ha visto nel calcio, come nel samba e nella capoeira, l’occasione identitaria di un paese le cui origini africane sono state spesso oscurate e neglette, mentre Marco Antonio Vieira Lima ha presentato l’attività dell’Ibrit, l’Istituto Italo-Brasiliano.

Luisa Faldini, presidente dell’Associazione nazionale antropologi universitari italiani (Anuac), riprendendo il tema dei culti afro-brasiliani ha dato un quadro etnografico ricco e stimolante degli incroci tra candomblé brasiliano e italiano, mettendone in risalto i conflitti. Valeria Ribeiro Corossacz dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha proposto una analisi del razzismo a partire dal punto di vista dei bianchi di classe medio-alta di Rio de Janeiro. È poi seguita la sessione “Terra, diritti e identità” aperta da Vincenzo Lauriola dell’Instituto Nacional de Pesquisa da Amazônia (Manaus) che ha messo in risalto le questioni giuridiche legate alla proprietà comune della terra.

Di indigeni hanno parlato Elaine Moreira della Università Federale del Roraima presentando gli Ye’kuana, un gruppo impegnato nella affermazione della propria identità etnica, e Paride Bollettin dell’Università di Perugia, che ha studiato la visione interetnica dei Mebengokré. Il caso degli indigeni Xacriabá, impegnati per la prima volta nella amministrazione di un comune del Minas Gerais, ha costituito l’argomento della relazione di Filippo Lenzi-Grillini del Centro interdipartimentale di studi sull’America indigena dell’Università di Siena, nella terza sessione del convegno dal titolo “Questioni politiche”, mentre Fabio Mura, della Universidade Federal da Paraíba è tornato sul tema della demarcazione delle terre indigene presentando i Guaranì del Mato Grosso do sul.

Con le relazioni di Anna Casella Paltrinieri della sede bresciana della Cattolica e Francesco Lazzari dell’Università di Trieste, si è affrontato il tema delle popolazioni contadine, dei movimenti sociali, oggi alla ricerca di nuovi protagonismi che garantiscano una democrazia effettiva. Infine l’ultima sessione dal titolo “Identità, media e contemporaneità”, con le relazioni di Chiara Bergaglio dell’Università di Torino che ha indagato l’educazione tra i guaranì-mbya di Sao Paulo; di Daniela Marchese dell’Università di Siena, che ha parlato dell’uso degli strumenti audiovisivi presso i kaxinawá; e di Silvia Zaccaria dell’Istituto per l’ambiente e l’educazione di Torino, che ha concluso il convegno riflettendo sulle nuove narrative mitiche che i media propongono sull’Amazzonia. Una giornata intensa, seguita da un pubblico di studenti e specialisti (linguisti, sociologi, studiosi di tradizioni popolari) che ha permesso di affrontare il Brasile con la profondità dello sguardo antropologico.