È un momento ancora poco conosciuto e soprattutto ben poco compreso nei suoi significati, nella sua ricchezza, nella sua complessità. Eppure la Resistenza rappresenta uno dei capitoli più importanti della storia italiana del XX secolo. Un periodo che merita di essere approfondito e su cui vale la pena riflettere, non solo per far comprendere meglio i valori che lo ispirarono, ma anche per gettare luce sui suoi tanti, talvolta dimenticati, protagonisti. Tra questi anche Aldo Gastaldi, meglio noto come “Bisagno”, il cui nome di battaglia continua a risuonare nella memoria di chi ha preso parte alla Resistenza. Per conoscere la figura di questo partigiano italiano, nell’ambito del corso di Storia del mondo contemporaneo, presieduto dalla professoressa Maria Bocci, mercoledì 29 aprile alle 15 nell’Aula Pio XI sarà presentato in anteprima nazionale il film-documentario di Marco Gandolfo, dal titolo “Bisagno”. La proiezione sarà introdotta dai saluti della professoressa Bocci, e da Daniele Bardelli, docente di Storia del mondo contemporaneo. Al termine seguirà una tavola rotonda nel corso della quale il regista dialogherà con il direttore di Tgcom24 Alessandro Banfi e lo scrittore e giornalista Emilio Bonicelli.
Ma chi è Bisagno? Aldo Gastaldi nasce a Granarolo (Genova) il 17 settembre 1921 da una famiglia che gli trasmette una solida fede cristiana. Sottotenente del XV Reggimento Genio, l’8 settembre 1943 è di pattuglia a Chiavari quando arriva la notizia dell’armistizio. Non appena viene a sapere che i tedeschi hanno occupato la caserma fa nascondere le armi agli uomini che ha con sé, poi li lascia liberi di andarsene. Lui è tra i primi a salire in montagna: forma un nucleo partigiano a Cichero e nel giro di pochi mesi diventa il comandante più amato della resistenza in Liguria. «La figura umana di Aldo Gastaldi è di grande spessore e significato», spiega Daniele Bardelli, che racconta il perché di quest’iniziativa. E prosegue: «Fu infatti tra quei militari che l’8 settembre scelsero di sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi, e poi al successivo arruolamento nelle milizie della Repubblica di Salò, e che non accettarono la “morte della patria”, e dunque di abbandonare la divisa, ma continuarono a portare le armi (il suo plotone fu l’unico di tutto il reggimento) per opporsi all’invasione, alla dittatura, all’ingiustizia, dando vita al primo movimento di resistenza». In particolare ciò che colpisce di Gastaldi è il suo senso di «responsabilità umana e civile» radicato non solo nel sentimento del dovere di ufficiale, ma soprattutto in una «solida e praticata fede cristiana», tradotta concretamente nell’impegno in difesa della giustizia, in rispetto per la vita. Tutto ciò, dice il professore della Cattolica, «ne fa un esempio di quei “ribelli per amore” di cui la resistenza fu illuminata, e lo rese un capo militare amato e rispettato al punto da essere per molti, nonostante la sua giovane età, un vero “maestro di vita”, capace con la parola e con l’esempio di convincere anche chi aveva vestito la divisa avversaria. Fu il caso di quegli alpini della divisione Monterosa che, arruolati fra i deportati in Germania, vennero inglobati fra i suoi partigiani».
L’esperienza di Bisagno e degli uomini della sua brigata appare quanto mai significativa in un’Italia in cui stavano riorganizzandosi con difficoltà le forze democratiche. «È l’affermazione di una apoliticità che non era disimpegno ignoranza o disillusione rispetto alle dinamiche della democrazia - osserva il professor Bardelli -, ma anteposta e prioritaria affermazione della necessità di ristabilire la giustizia e la legge prima di abbracciare qualsiasi opzione politica circa le specifiche forme e i particolari orientamenti che avrebbero dovuto dare forma all’Italia del dopoguerra». Tuttavia questo suo essere apartitico, apolitico procura a Bisagno non pochi contrasti con i membri del Comitato di liberazione nazionale (Cln). «Si oppose recisamente alla presenza dei propagandisti politici nelle sue formazioni, così come alla considerazione della guerra partigiana come momento di rivoluzione politico-ideologica invece che atto corale e “prepolitico” di liberazione dall’invasione e dalla dittatura - precisa il docente della Cattolica -. Ciò lo mise in urto con i vertici del Cln ligure: avversato da coloro che puntavano a fare della resistenza il primo passo della rivoluzione; maltollerato dagli altri per il fatto di sottrarsi alle regole di un’alleanza che già configurava gli equilibri, forse inevitabili, della vita politica italiana del dopoguerra, già impostata secondo i criteri della spartizione del potere fra i partiti».
Bisagno muore misteriosamente il 21 maggio 1945 a Desenzano del Garda, dopo aver riconsegnato alle famiglie tutti i suoi uomini. A quasi 70 anni dalla sua morte il film-documentario di Marco Gandolfo, basato su interviste a partigiani ancora in vita e a documenti inediti, cerca di fare chiarezza, al di là di ogni retorica, sulla figura del comandante genovese. «Il film si propone come raccolta di testimonianze - nota il professor Bardelli - che vengono efficacemente dispiegandosi in una narrazione che non prende il sopravvento rispetto ai fatti reali, non concedendosi al compiacimento memorialistico e sentimentale per far risaltare la figura di “Bisagno” nelle parole e nella commozione di coloro che, avendolo conosciuto, ne restituiscono un’immagine viva che è lezione vitale anche per l’oggi».