Andrea Camilleri nella hall del Gemelli, intervistato da Luciano Onder (a sinistra)Non poteva ricevere un ‘battesimo’ migliore Il cielo nelle stanze – il nuovo progetto ideato e promosso dal Policlinico universitario “Agostino Gemelli” e dalle librerie Arion per far incontrare importanti scrittori con la comunità dei degenti e loro familiari, dei medici, studenti e operatori che ogni giorno affollano le corsie. Andrea Camilleri, autore di oltre 70 opere fra cui quelle celeberrime del commissario Montalbano, giovedì 18 novembre è stato accolto nella hall del Gemelli da un pubblico foltissimo, a cui si sono aggiunti quanti dai reparti, grazie al sistema tv a circuito chiuso del Policlinico, hanno potuto seguire in video la conversazione dello scrittore siciliano.

Sapientemente sollecitato da Luciano Onder, Camilleri ha ragionato sul valore della lettura e il peso delle radici culturali, mescolando con maestria riferimenti letterari e memorie d’infanzia. Toccante è stata un’inattesa confidenza, un ‘regalo’ inaspettato: «Il mio primo romanzo – ha svelato Camilleri – è nato proprio qui, nel 1967, in una stanza del Gemelli, quando mio papà è stato ricoverato. In quell’occasione io e lui ci siamo riavvicinati dopo un periodo difficile. Gli tenevo compagnia anche la sera e, così, iniziai a raccontargli una storia, a puntate». Nel 1968 decise di mettere nero su bianco quella storia e si trasformò ne Il corso delle cose, romanzo che però vide la luce solo 10 anni dopo, «perché tutte le case editrici, all’epoca, lo rifiutarono».

Camilleri ha voluto spiegare, fra l’altro, quanto seriamente debba essere preso l’impegno per la scrittura: «Personalmente, non riesco a scrivere se non mi metto in perfetto ordine, ben rasato, ben vestito, anche se sono a casa. È una questione di rispetto per la scrittura stessa». E questo impegno da decenni lo porta a lavorare alacremente, senza sosta: «Anche adesso, mentre parlo qui – ha ammesso Camilleri – un’altra parte del mio cervello continua a pensare ai miei romanzi, non mi fermo mai. È come per un musicista o un chirurgo, occorre sempre tenersi in esercizio». Non sono mancati alcuni riferimenti a Salvo Montalbano, il suo più noto personaggio, anche qui con un richiamo alla figura paterna: «Quei tratti non potrebbero essere così convincenti se non fossero legati in qualche modo a una persona reale. Ma non sono io. Solo dopo alcuni romanzi, mia moglie ha osservato: “Ti rendi conto che stai descrivendo tuo padre?”. Era vero, anche se non ne ero consapevole».


 

 


L’ultima battuta è stata riservata agli «ospiti» del Policlinico, soprattutto a quelli bloccati dalla malattia nelle loro stanze. «Già il termine, ‘paziente’, indica la necessità di avere molta pazienza. Dobbiamo adeguarci a una verità inevitabile. Dalla nascita riceviamo un ticket in cui sta tutto: la giovinezza, la maturità, la vecchiaia, la sofferenza, fino alla morte, che è il prezzo finale di quel biglietto. Dobbiamo accettarlo, ma ricordarci sempre di quanto bello e forte sia l’essere umano, e di quante risorse sorprendenti sia capace».

«Questo splendido incontro – ha sostenuto Cesare Catananti, direttore del Policlinico Gemelli – e l’intero progetto dimostrano che si può rispondere alla sempre più urgente necessità di realizzare un compiuto processo di “umanizzazione” della medicina, soprattutto nei luoghi in cui essa viene quotidianamente esercitata nella cura e nell’assistenza dei malati». «Come librai – ha aggiunto Marcello Ciccaglioni, presidente delle librerie Arion – siamo orgogliosi di essere accanto al Gemelli in questa iniziativa».

Ed è già fissato il prossimo appuntamento: il 13 dicembre, alle ore 15, nella hall del Policlinico arriverà Antonio Pennacchi, vincitore del premio Strega 2010 con il romanzo Canale Mussolini.