Daniel Barenboim al pianoforteLa musica ha occhi, orecchie, braccia, gambe e la Carmen di Bizet dà corpo a questa musica, dà senso ai cinque sensi. La mettono su questo piano, Daniel Barenboim, direttore d’orchestra tra i più famosi e validi del mondo, ed Emma Dante, la regista palermitana enfant prodige della scena, che in Cattolica presentano la loro Carmen, al debutto per la nuova stagione della Scala il 7 dicembre prossimo a Milano. Una conversazione tra amici, anche se l’aula magna dell’università era stracolma e la sala della cripta era stata allestita per contenere il pubblico in più: la prima della Scala è sempre un evento e un direttore che si sa raccontare è cosa rara, fuori dal golfo mistico.

A proposito di Baremboim - che prima di calcare i palcoscenici dei teatri di tutto il mondo con la bacchetta in mano è stato un grande pianista, un eccellente interprete del repertorio chopiniano - è proprio il caso di dire che la sua qualifica di direttore fa rima con comunicatore: perché risponde alle domande che gli porge Enrico Girardi, musicologo e direttore del corso interfacoltà in Economia dei beni culturali, sorridendo, confidandosi, suonando il pianoforte a coda che troneggia in aula magna, agitando le braccia per dirigere; salvo alzare ogni tanto il sopracciglio. Sì, perché Carmen è un’opera fisica, un corpo musicale in carne e ossa e questo è ciò che il direttore vuole fare capire a tutti, musicisti e non. «La musica è sempre comica e tragica, tutta, allo stesso tempo. Ma questa Carmen lo è di più: qui piangi e ridi insieme». Un segreto, quello del linguaggio della partitura, che riposa in ogni musicista, «che ti fa godere nel suonare anche una marcia funebre, anche se può sembrare assurdo», sorride il direttore.

Il fatto è che Carmen è sinonimo di passione ma non per posa, per mito o per leggenda. La storia della sigaraia di Siviglia – vicenda nata dalla penna di Prosper Mérimée che ne fece una novella nel 1845 –  è un concentrato di destino «che si scalda – osa Baremboim ­– prima ancora di cominciare». Non c’è nulla di congelato, nella vicenda che oppone l’ex militare Don José, diventato un bandito rozzo e brutale, alla spocchia del torero Escamillo: tutto scorre sul ritmo pulsante del sangue, fino alla tragedia finale. Lo sa bene Emma Dante, non nuova a riportare sulle scene la tragedia greca in declinazioni contemporanee, che insiste con la metafora del corpo per questa Carmen che sente già sua: «Se Carmen, in quanto personaggio, è il cuore di questo corpo operistico, la partitura dà il ritmo della sua respirazione. E senza respirazione Carmen non potrebbe essere quello che è». Girardi le chiede se e quanto questa creatura che vedremo in scena è vicina al suo modello letterario, quello di Mérimée, ma Dante non ci vede tanto naturalismo né grandguignol o carnezzeria, né tanto meno solo cavalleria rusticana: «Solo personaggi vicini alla mitologia, eroi che camminano a dieci centimetri da terra, aleggiano sulle nostre esistenze stanche e quotidiane». Come dire che amerebbero come vorremo fare noi, pur non riuscendoci davvero, perché l’eccesso d’amore nella vita di ogni giorno diventa tragedia e non aiuta a vivere. L’opera Carmen, infatti, non racconta una storia vera, ma verosimile, «di quella verosimiglianza che è più forte della verità», dice la Dante.

Da sinistra: Daniel Barenboim, Emma Dante e Enrico GirardiPer spiegare ciò che Emma Dante vede per immagini, Baremboim, pungolato da Girardi, si dà da fare con  il ritmo, e usa una metafora forte: «Il coltello detta i tempi musicali e teatrali di Carmen: sia sopra la gola che dietro le spalle. Minaccia, paura e destino che in partitura diventano elementi ritmici: accento, pausa, sincope, danza». E giù con gli esempi musicali al pianoforte per dire cosa sono habanera e seguidilla e che cosa abbiano a che fare con la musica africana o con il tango. Poi, le domande degli studenti: qual è il suo rapporto con i cantanti; quale quello con l’orchestra della Scala; se è stato difficile trovare una chiave di lettura condivisa con la regista per Carmen; quali sono le opere che ama o ha amato di più; con quali criteri si sceglie un’opera per il debutto della nuova stagione; quale brano consiglierebbe di ascoltare a un giovane che volesse accostarsi alla musica colta. Il direttore si concede senza riserve al fuoco di fila delle domande, riceve compreso il dono dell’università che si impegna a sostenere con una borsa di studio uno dei giovani dell’orchestra arabo-ebrea Divan da lui promossa. E, a proposito di sostegno alla musica tout court, invita tutti a bearsi del senso della musica. Il sesto, senza dubbio.