«Il XVI secolo rappresenta il definitivo trionfo del libro a stampa che lentamente conquista da un lato tutti gli ambiti della produzione culturale, compresi quelli graficamente più complessi (musica, opere scientifiche, testi illustrati, etc.) dall'altro sempre nuovi settori di pubblico con la lenta ma progressiva crescita dell'alfabetismo e con la solida affermazione di una produzione editoriale volgare». Il professor Edoardo Barbieri - docente di Storia del libro e dell’editoria, direttore del centro di ricerca europeo Libro Editoria Biblioteca e direttore del master Professione editoria cartacea e digitale - racchiude in queste parole cosa sta dietro il termine “Cinquecentine”, soprattutto ora che la preziosa collezione posseduta dalla Biblioteca d’ateneo dell’Università Cattolica è stata ricatalogata secondo i più moderni standard internazionali e offerta così a un sempre più ampio pubblico di studiosi e di cultori.
Come si è passati dagli incubaboli ai primi libri a stampa del Cinquecento? «Gutenberg e i prototipografi hanno saputo e dovuto affrontare una massa enorme di problemi tecnici e organizzativi, che andavano dalla creazione di caratteri multipli ottenuti tramite fusione alla predisposizione di un torchio realmente adatto alla stampa, dal reperimento di grandi quantitativi di carta alla organizzazione di una efficace rete commerciale. Solo lentamente però il prodotto che intendevano proporre smise di essere semplicemente un manoscritto prodotto meccanicamente, divenendo un nuovo mezzo di comunicazione. Basti pensare anche solo al lento sviluppo del frontespizio come luogo sintetico di presentazione dell'edizione, una zona del libro che è andata affermandosi ed evolvendosi già dagli anni ‘80 del XV secolo».
Qual è il valore della collezione posseduta dall’ateneo? «La raccolta di edizioni del XVI con i suoi circa 2.000 volumi rappresenta un non trascurabile nucleo di edizioni preziose. Occorre mettere in risalto non solo il loro, pur notevole, valore economico, ma la loro varietà. Provenendo non da un unico fondo preesistente (quello di un particolare monastero, per esempio) ma da una moltitudine piuttosto estesa di doni e acquisti, esse rappresentano una campionatura interessante della produzione europea del periodo».
Gli stampatori italiani hanno un ruolo di primo piano in questa produzione, non è vero? «Sì, ed è per questo che nella nostra collezione figuri in prima posizione la produzione targata Venezia, che, forse insieme a Lione, fu a lungo la capitale mondiale dell'industria editoriale. Proprio la sua natura di primario centro commerciale ne fece il luogo di convergenza di intellettuali e artigiani del libro. Basti fare qui l'esempio di Aldo Manuzio (di cui ricorre quest'anno il quinto centenario della morte) che per circa un ventennio illuminò il mondo con la sua produzione di libri in greco, in latino, in italiano».
Che valore ha aver il nuovo catalogo delle Cinquecentine? «La catalogazione di un fondo di libri antichi è la prima e più importante opera per salvaguardarlo e valorizzarlo. La tutela si applica in quanto il materiale antico è soggetto a una natura decadenza fisica, ma anche a sottrazioni o dispersioni: sapere esattamente cosa si possiede è il primo modo per conservarlo».
E una volta conservato? «Il catalogo è una fonte imprescindibile di accesso alla conoscenza: ci fornisce non solo i dati su autore e opera, ma anche quelli relativi alla particolare edizione. Le profonde competenze del personale dell’ateneo hanno saputo in questo caso fornire un lavoro esemplare che non solo fornisce con precisione questi dati ma si inoltra nel più complesso problema della descrizione della singola copia con informazioni su legature, note di possesso, segni di lettura. Il lavoro ottimamente concluso fornirà un contributo importante agli studiosi (e agli studenti: pensiamo alla possibilità di tesi di laurea!) della nostra università, ma anche, più in generale, al mondo della ricerca umanistica italiana e internazionale».