Avrebbe potuto chiamarsi “Il gusto della conversazione” l’incontro tenutosi martedì 8 maggio in Aula Magna. Il tema era di attualità e di grande interesse per gli studenti del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo: l’analisi televisiva e psicologica delle ragioni dietro al successo di Che tempo che fa, uno dei programmi di Rai Tre di maggior successo degli ultimi anni. Gli ospiti presenti al talk provengono in pari misura dal mondo accademico e da quello televisivo: oltre a Giorgio Simonelli, docente di Storia della televisione, Carlo Galimberti, docente di Psicologia della Comunicazione e Paola Abbiezzi di Almed, erano presenti Ennio Chiodi, vicedirettore di Rai Tre, Marco Posani e Paolo Aleotti, autori della trasmissione, mentre il regista Duccio Forzano ha preso parte al dibattito in videoconferenza. E Fabio Fazio? Ovviamente c’era anche lui, ma è intervenuto soltanto in collegamento telefonico perché al momento è impegnato assieme a Roberto Saviano nella realizzazione di Quello che non ho, il seguito di Vieni via con me.

Ma il fatto che Fazio non fosse presente di persona al dibattito non significa che il suo ruolo sia marginale, anzi: se Che tempo che fa è stato un successo così grande, hanno concordato tutti gli intervenuti, questo è dovuto in larga parte all’apporto determinante del conduttore savonese. Analizzando il programma, ha fatto notare fin dall’introduzione Simonelli, non si può non notare come questo segni un ritorno nettissimo a una formula di tv classica, caratterizzata da ritualità e appuntamenti fissi. Gli ingredienti di Che tempo che fa in fondo sono semplici: interviste e comicità. Anzi, per dirla con Carlo Galimberti e Vasco Bergamaschi, docente e dottorando di psicologia della comunicazione, le interviste che vanno in onda nel programma di Fazio si potrebbero definire interviste intersoggettive, diverse da quelle tradizionali perché ricordano più una conversazione tra pari che un botta e risposta tradizionalmente giornalistico. Questo risultato è molto importante perché, attraverso la creazione di un’atmosfera distesa tra Fazio e i suoi intervistati, gli autori del programma mettono a proprio agio gli ospiti, permettendo loro di uscire dagli schemi e di abbandonare un atteggiamento istituzionale in favore di uno molto più trasparente. Ma qual è il segreto di Fazio per raggiungere questo risultato? Le ragioni sono varie: intanto il presentatore ligure non è un giornalista, ma nasce come comico e imitatore. Il bagaglio tecnico dell’umorista così risulta determinante, a livello comunicativo e psicologico, anche quando i personaggi coinvolti o i temi trattati sono molto seri. Come spiegato da Galimberti attraverso l’analisi delle conversazioni tra Fazio e i suoi intervistati, una battuta al momento giusto può cambiare tutto. L’umorismo ha il potere, in un dialogo tra pari, di stabilire il clima giusto, portando alla luce in questo modo molta più verità di quanto possa fare un colloquio formale. E in quest’arte sottile Fazio, riconosciuto da tutti i presenti come una delle spalle comiche migliori d’Italia, è un vero maestro.

Altri elementi del successo di Che tempo che fa, poi, sono la sua regia sobria, il lavoro autoriale molto preciso (una delle autrici del programma è Samanta Chiodini, ex studentessa dell’ Università Cattolica), le scenografie minimali e l’uso delle luci. E, non ultima, Luciana Litizzetto. Secondo Fazio, paradossalmente è lei che ha permesso la svolta più “culturale” presa dal programma negli ultimi anni, con presentazioni di libri e ospiti a volte anche molto istituzionali: «Luciana ha un successo così grande ed è talmente popolare da consentirci di parlare anche di temi molto complessi».

Per Ennio Chiodi di Rai Tre, Fabio Fazio è stato un vero e proprio traino per la rete: grazie al successo di Che tempo che fa e Vieni via con me, infatti, il canale è ora il terzo in Italia per ascolti dopo Rai Uno e Canale Cinque, e il primo indiscusso nei sondaggi di qualità.