Dal bullismo alla delinquenza. L’atto prepotente del ragazzo durante gli anni di scuola troppo spesso diventa reato in età adulta. Di “Bullismo e devianza giovanile: strategie do intervento a confronto” si è parlato durante il seminario internazionale organizzato a Brescia l’11 ottobre dalla facoltà di Psicologia. Ad aprire i lavori la psicologa della Cattolica Simona Caravita, che ha illustrato le caratteristiche del fenomeno in relazione alla delinquenza e le possibili forme di contrasto.

Il bullismo rappresenta un problema grave e diffuso, con un duplice livello di complessità: il primo relativo al tipo di comportamento aggressivo individuale, connesso a specifici processi psicologici che sospingono il prepotente a mettere in atto un’azione violenta; il secondo livello riguardante i fattori di gruppo che concorrono e rendono possibile il verificarsi di episodi di bullismo. Bambini e ragazzi vi partecipano come bulli e vittime, ma anche come aiutanti e sostenitori del bullo, difensori della vittima e osservatori passivi. Questi ruoli arrivano a interessare fino al 60-80% degli alunni di scuola primaria e secondaria di primo grado.

Gli studi più recenti hanno dimostrato che, seppure non configurandosi di per sé necessariamente come un comportamento delinquente, il rendersi autori in età scolare di prevaricazioni a danno dei compagni rappresenta un importante fattore di rischio per la futura messa in atto di comportamenti delinquenti, con segnalazione all’autorità giudiziaria, in adolescenza ed età adulta. Tra i fattori che contribuiscono a rendere il comportamento prepotente un potenziale antecedente della delinquenza vi sono sia le distorsioni della moralità che accomunano giovani prepotenti e giovani delinquenti, sia il ruolo del gruppo dei pari che nelle situazioni di bullismo e, a volte, di delinquenza favorisce il verificarsi di azioni devianti e trasgressive, supportandone gli autori.

Per queste ragioni i programmi di intervento per la prevenzione e il contrasto del bullismo proposti internazionalmente operano principalmente secondo una duplice direzione di azione: l’intervento diretto su bulli e vittime e l’intervento mirato al gruppo. Quando il bullismo sfocia in reato anche l’autorità giudiziaria viene coinvolta nel contrasto del problema, attraverso un’azione sanzionatoria ma anche rieducativa del bullo.

Un modello di intervento efficace per la prevenzione del bullismo, fra i migliori in Europa, è quello attuato in Austria con il coinvolgimento del ministro della Pubblica Istruzione, presentato durante il convegno dalla professoressa Dagmar Strohmeier. «Il nostro progetto promuove le abilità della scuola. Si lavora in tutte le classi dando grande attenzione agli individui. Un’equipe di psicologi e educatori mette a contatto prevaricatore e vittima per sviluppare quell’empatia che relaziona gli esseri umani. Occorre, infatti, scardinare le norme individuali e del gruppo, cambiando il clima della scuola».

L’ultima parte del seminario è stato dedicata al percorso giudiziario presentato dall’avvocato Simona Ardesi, coordinatrice dell’Ufficio per la mediazione minorile di Brescia, per capire quando la prepotenza diventa reato e come sia possibile affrontare il problema in termini rieducativi.