«Comunicare il vangelo in un mondo che cambia». È la delicata missione, antica e modernissima allo stesso tempo, di don Dario Edoardo Viganò, da un anno direttore del Centro Televisivo Vaticano (Ctv). Un compito che ha alle spalle l’insegnamento all’Università Lateranense e la direzione dell’Ente dello Spettacolo della Cei, dove ha fortemente contribuito a una rinnovata attenzione da parte della Chiesa italiana verso il cinema, come sottolinea l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica monsignor Claudio Giuliodori. Un’esperienza che gli ha permesso di portare un «occhio cinematografico» nella direzione del Ctv.

Fausto Colombo sottolinea il ruolo sempre più importante dei mezzi di comunicazione nella storia della Chiesa e delle «voci peculiari» di cui ha bisogno per annunciare il Vangelo, come quella di papa Francesco. Ruggero Eugeni definisce il libro di Viganò come il suggello di un completo rovesciamento del rapporto tra Chiesa e mezzi di comunicazione di massa, passato da un iniziale isolamento dei cattolici a una relazione «paritetica», in cui i media vengono vissuti dal popolo cristiano senza complessi, come un «ambiente» dove far emergere le proprie qualità «umane».

Aldo Grasso propone un interessante excursus storico tracciando una «linea provvidenziale che parte dal cinema e arriva a don Dario Viganò». Partendo dal documentario di Romolo Marcellini del 1942 su Papa Pio XII, in cui per la prima volta venivano mostrati momenti della vita privata di un pontefice, si è arrivati all’irruzione della televisione nella storia della Chiesa. Fu proprio Papa Pacelli a nominare, con il breve apostolico “Clarius explendescit”, santa Chiara patrona della televisione. Una santa che aveva la dote dell’ubiquità, un dono che proprio con la tv diveniva per la prima nella volta nella storia una prerogativa di tutti gli uomini e non solo di pochi santi.

Telecamere su San PietroGiovanni XXIII fu invece in grado, con un discorso «casualmente» ripreso dalla tv, il famoso “discorso della luna”, di trasformare un evento di cronaca in un’icona della storia della televisione. Con l’impulso dirompente di papa Giovanni Paolo II venne istituito nel 1983 il Centro Televisivo Vaticano: la tv diveniva finalmente uno strumento di evangelizzazione. Dalle Giornate mondiali della gioventù ai numerosi viaggi apostolici, fino agli ultimi anni della malattia, il Ctv ha documentato lo straordinaria “vivacità” mediatica di papa Wojtyla, testimoniando tutti i momenti del pontificato, trasformando i “tempi morti” tipici della tv (le attese, i momenti privati del Papa) in “tempi vivi”, ricchi di particolari interessanti.

L’inizio dell’incarico di Dario Viganò al Ctv è stato folgorante. «Sono stato nominato il 22 gennaio 2013 e l’11 febbraio sono arrivate le dimissioni di Papa Benedetto. Quello era un giorno di festa per i lavoratori del Vaticano, e io dovetti convocare tutti per affrontare la situazione: così compresi che il mio era un posto di enorme responsabilità» racconta. Don Viganò spiega l’investimento del Ctv nelle innovazioni tecnologiche. «Dal 2004 produciamo immagini in HD (mentre la Rai produce in standard): il nostro riferimento sono gli Usa, e compriamo gli strumenti più all’avanguardia dal Giappone. Si tratta di investimenti importanti, anche perché abbiamo scelto di non vendere a nessuno i diritti delle immagini del Papa: dobbiamo equilibrare le esigenze di diffusione del messaggio e di riservatezza delle immagini, e per questo motivo siamo i soli a produrre le riprese televisive del pontefice».

Viganò spiega alcune delle sue strategie. «Sono riuscito a portare un po’ delle mie competenze cinematografiche nella messa in onda di alcuni eventi televisivi fondamentali dell’ultimo anno, come durante il conclave, dove, per rendere al meglio l’emozione e la solennità dell’«Extra omnes», abbiamo usato un “Jimmy” di dieci metri. Con Papa Francesco ogni giorno c’è una novità che dobbiamo riuscire a seguire in maniera sempre originale, ma lo spirito del suo rapporto con i media è forte e può essere riassunto da queste tre parole: prossimità, carisma e partecipazione».
Dirigere il Ctv è un lavoro faticoso, ma davvero importante: «Basti pensare - chiosa Aldo Grasso - al fatto che nessuno storico del futuro potrà fare a meno dei suoi documenti video. È per questo che, quando mi domandano cosa voglio fare da grande, rispondo: il direttore del Centro Televisivo Vaticano».